E’ URGENTE RIDURRE LE EMISSIONI DI GAS NEFASTI PER IL RISCALDAMENTO GLOBALE.
Nel febbraio del 1991 il Consiglio Europeo autorizzò la Commissione a partecipare, a nome della Comunità europea, ai negoziati della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, adottata a New York il 9 maggio 1992.
Successivamente, per dare seguito a quelle intenzioni, dopo lunghi lavori preparatori, l’11 dicembre 1997 fù adottato il Protocollo di Kyoto, nella città omonima del Giappone nella Regione del Kansai. La convenzione quadro diede un contribuito notevole alla definizione di principi chiave in materia di lotta internazionale ai cambiamenti climatici.
Definiva soprattutto il principio di “responsabilità comuni ma differenziate”.
Si proponeva in particolare di estendere una maggiore sensibilizzazione verso i cittadini di tutto il mondo, provando a diffondere e rendere coscienti gli abitanti del Pianeta ai problemi collegati con i cambiamenti climatici. Anche se la convenzione non conteneva degli impegni quantificati e precisi di ciascun paese in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Infatti nella prima conferenza delle parti che avevano stilato le buone intenzioni, svoltasi a Berlino nel marzo 1995, decisero di negoziare un protocollo contenente misure che miravano a ridurre le emissioni nei paesi industrializzati, in particolare tenendo presente il periodo successivo al 2000.
La Comunità europea firmò il protocollo il 29 aprile 1998. Nel dicembre 2001, il Consiglio europeo di Laeken confermò che la volontà dell’Unione era che il Protocollo di Kyoto entrasse in vigore prima del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (26 agosto – 4 settembre 2002). Per raggiungere tale obiettivo, gli Stati membri si impegnarono a depositare i loro strumenti di ratifica contemporaneamente alla Comunità e, per quanto possibile, prima del 1° giugno 2002.
Gli impegni per limitare e ridurre delle emissioni convenuti dalla Comunità e dai suoi Stati membri per il primo periodo di impegno (2008-2012), riguardavano il: biossido di carbonio (CO2); protossido di azoto (N2O); perfluorocarburi (PFC); esafluoro di zolfo (SF6). metano (CH4); idrofluorocarburi (HFC), in quanto questi gas erano la causa per aumentare la temperatura della Terra.
La responsabilità dei Paesi, quindi, rappresentava un passo importante per contribuire nella lotta contro il riscaldamento planetario, in quanto conteneva obiettivi vincolanti e quantificati di limitazione necessari per ridurre i gas ad effetto serra.
Tra il 2008 e il 2012, gli Stati membri dell’UE prima del 2004 dovevano ridurre collettivamente le loro emissioni di gas ad effetto serra dell’8%. Quegli Stati che aderirono all’UE dopo questa data s’impegnarono a ridurre le loro emissioni dell’8%, ad eccezione della Polonia e dell’Ungheria (6%) e di Malta e Cipro che non figurano nell’allegato I della convenzione quadro.
Per raggiungimento di questi obiettivi, il Protocollo si proponeva una serie di mezzi di azione: rafforzare o istituire politiche nazionali di riduzione delle emissioni (miglioramento dell’efficienza energetica, promozione di forme di agricoltura sostenibili, sviluppo di fonti di energia rinnovabili, ecc.); cooperare con le altre parti contraenti (scambi di esperienze o di informazioni, coordinamento delle politiche nazionali attraverso i diritti di emissione, l’attuazione congiunta e il meccanismo di sviluppo pulito).
Una messa a punto del rispetto degli impegni presi era previsto per il 2005, e considerare un secondo periodo di impegni.
L’Unione europea ratificò il protocollo di Kyoto il 31 maggio 2002. Il protocollo era entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica della Russia. Vari paesi industrializzati non hanno voluto adottare il protocollo, tra cui gli Stati Uniti e l’Australia.
Se andiamo ad analizzare quello che è successo negli ultimi 11 anni, cioè dal 2000 ad oggi ci accorgiamo che l’incremento delle emissioni di carbonio che hanno aumentato l’effetto serra, è aumentato del 3% ogni anno, e addirittura nel 2010 il dato esponenziale si raddoppia perché arriva al 5.9%. La conferma scientifica di questi dati è confortata da una pubblicazione apparsa sulla rivista “Nature Climate Change”, questo dimostra che nonostante il protocollo di Kyoto poco è stato fatto per risolvere questo problema.
Alcuni calcoli hanno dimostrato che nel 2010 diverse cause, tra le quali l’aumento del consumo di combustibili fossili, la produzione di cemento, la deforestazione e altri tipi di sfruttamento del territorio, si sono raggiunti per la prima volta i 10 miliardi di tonnellate di carbonio. Metà di queste rimangono in atmosfera: la concentrazione della CO2 è arrivata a 389,6 parti per milione. Il resto è stato sequestrato, approssimativamente in parti uguali, dall’oceano e dai “pozzi di carbonio” sulla terraferma.
Dopo la presa d’atto di questa situazione, vi è stato un tentativo di riscrivere un protocollo di Kyoto2, nella città di Durban in Sudafrica, provando quindi a riscrivere degli impegni che porteranno a realizzare un accordo globale salva-clima entro il 2015 per entrare in vigore dal 2020.. Per l’accordo globale si inizierà a lavorare già a partire dal prossimo anno. Per questo è stato incaricato un gruppo di lavoro ad hoc in base alla “piattaforma di Durban”.
Il documento, oltre a costituire un gruppo di lavoro pone l’accento l’urgenza di accelerare i tempi e di alzare il livello di riduzione. La forma giuridica dell’accordo sarà argomento di ulteriori discussioni. Per quanto concerne il Kyoto2 dopo il 2012, riguarderà sostanzialmente l’Europa e pochi altri paesi industrializzati, considerato che Giappone, Russia e Canada da tempo hanno annunciato il loro no al secondo periodo del Protocollo. Il Kyoto2 avrà quindi la funzione di fare da ponte verso l’accordo globale. “Siamo usciti dal cono d’ombra di Copenaghen”.
L’accordo – ha commentato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, che nei giorni scorsi ha partecipato personalmente alla trattativa – supera i limiti del Protocollo di Kyoto e ha una dimensione globale” offrendo all’Europa, e soprattutto all’Italia, la possibilità di costituire la ‘piattaforma’ per lo sviluppo con le grandi economie emergenti, Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica”. Nel “pacchetto Durban” approvato dalla Conferenza, anche il via libera all’operatività del Fondo Verde per aiutare i paesi in via di sviluppo a sostenere le azioni contro il riscaldamento globale.
I 100 miliardi di dollari da investire sino al 2020, dovrebbero produrre come obiettivo principale, il coinvolgimento delle economie trainanti del Pianeta di Cina, Brasile e India, dentro la lotta comune ai cambiamenti climatici La partita è importante anche nei confronti degli Stati Uniti che non hanno mai ratificato il primo periodo di Kyoto.
L’intento finale della Conferenza ha fatto si che fosse “coniata” una storica dichiarazione da parte del presidente della Conferenza, Maite Nkoana-Mashabane, che ha detto: “Abbiamo fatto la storia”. Soddisfatto si è detto il Brasile. Per ambientalisti e piccole isole, invece, il testo non è abbastanza forte: difficile mantenere sotto i due gradi l’aumento della temperatura globale come indicato dagli scienziati, come termine per non arrivare a effetti catastrofici di non ritorno”.
Da diverse parti del mondo, si levano grida di protesta sul modo con cui si procede verso questo “addormentamento” con cui si attendo le catastrofi, senza fare nulla da parte dei paesi che invece dovrebbero fare la loro parte seppur minima. Alcuni tra i principali gruppi per la difesa dell’ambiente Inglese, hanno accusato l’esecutivo di aver tradito la sua promessa di essere il “governo più verde della storia” e in due lettere inviate all’Observer esprimono la loro rabbia contro le dichiarazioni fatte dal ministro delle Finanze Osborne nel suo discorso d’autunno. Per rispondere alla crisi economica, il governo ha tagliato i sussidi per l’energia solare, introdotto una riforma sui piani edilizi riducendone le limitazioni e vuole applicare incentivi fiscali alle industrie ad alto tasso di emissioni nocive.
E proprio per questo, contro Osborne ora si è scagliata la più grande alleanza di gruppi ambientalisti, dagli attivisti per la difesa degli uccelli a quelli per la conservazione delle campagne. “Dopo il discorso del cancelliere pensiamo che questa coalizione stia diventando il governo più distruttivo dal punto ambientale dalla nascita del movimento ambientalista moderna”, si legge in una lettera firmata da Caroline Lucas, leader del partito dei verdi e da diversi rappresentanti di gruppi ecologisti britannici. Un’altra missiva, inviata da Greenpeace e altre associazioni, denuncia “L’incredibile inosservanza nei confronti del valore dell’ambiente naturale”.
Prendere decisioni adesso verso un futuro energetico dell’Ue per il 2050 quasi a zero emissioni di gas serra costerebbe molto meno rispetto alla scelta di non fare assolutamente nulla.
Questa è la stima di una spesa di circa il 14% del Pil dell’Unione Europea del 2050 rispetto al 10,5% del 2005. Questo è quanto è emerso dalla roadmap sull’energia presentata a Bruxelles dalla Commissione europea, con l’obiettivo di centrare un target di riduzione di oltre l’80% della CO2 per il 2050.
La decisione del Canada di uscire dal protocollo di Kyoto con la giustificazione che sarebbe costato troppo al Paese viene a questo punto smentito dalle cifre, dando credito ai conti fatti dall’Unione Europea.
“Il settore dell’energia dell’Unione – ha spiegato il commissario Ue all’Energia, Gunther Oettinger – nel 2050 deve essere a zero emissioni: questo punto non è contestato da nessuno”. Questo dunque il punto di partenza per il dibattito su come arrivarci: nel 2013/2014, dovranno essere fissati i target del 2030.
Rinviare gli investimenti ,sarebbe ancora più deleterio, rispetto alla decisione di realizzare una programmazione di “green-economy” Le spese aumenterebbero: per ogni dollaro non speso in investimenti nel settore energetico, ne serviranno altri 4,3 dopo il 2020 per compensare l’aumento delle emissioni.
Sempre dalla Commissione Ue arriva il plauso alla decarbonizzazione del sistema energetico, che è “tecnicamente ed economicamente fattibile”. La Ue deve anche ridurre la sua bolletta energetica, da un minimo del 32% a un massimo del 41%, rispetto ai picchi degli anni 2005/2006. Secondo la roadmap, le rinnovabili giocheranno un ruolo chiave, toccando almeno quota 55% rispetto ai consumi finali di energia, quindi un +45% rispetto al 10% attuale.
Tutti i governi Europei e Mondiali, sono a questo punto avvertiti, ed uscire dallo stallo registrato in questi anni, diventa il primo punto all’Ordine del Giorno Mondiale, altrimenti assisteremmo “allibiti” ad altre catastrofi annunciate, come è successo in ogni Nazione del Pianeta, e negli ultimi anni in Italia, con una serie di alluvioni a catena.
Giorgio De Santis
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