AD UN ANNO DAL DISASTRO DELLA BP, SI RIPRENDONO LE TRIVELLAZIONI, MA LE GARANZIE PER LA POPOLAZIONE DIMINUISCONO.

Il disastro di un anno fa non è bastato. British Petroleum si prepara a riprendere le trivellazioni nel Golfo del Messico dopo aver raggiunto un accordo con le autorità americane in cui si impegna a rispettare misure di sicurezza superiori a quelle in vigore prima dello scoppio della piattaforma Deepawater Horizon.

Gli ambientalisti pero’ non si fidano ed hanno espresso indignazione per la decisione.

Il più grande disastro ecologico della storia infatti quel giovedì  22 aprile 2010, la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon sprofondò  a 84 chilometri dal porto di Venice, nel Golfo del Messico. Due giorni prima un tubo di trivellazione aveva causato una forte esplosione da cui si era generato un incendio di vaste proporzioni durato 36 ore. A bordo erano presenti 126 uomini, 17 dei quali sono rimasti feriti, 4 in gravi condizioni. Undici operai sono ancora dispersi. Queste erano le prime notizie filtrate attraverso i media di allora, con un gran da farsi anche del presidente Obama.

Ma questo grande disastro è stato presto dimenticato. E’ passato appena un anno e la maggior parte dei media, è tornato al “normale” flusso di notizie “interessanti”. Nel golfo del Messico però è iniziata una nuova stagione di ricerche per estrarre petrolio  iniziata, in barba alla salvaguardia dell’ambiente e delle popolazioni interessate.

Le trivellazioni stanno riprendono dopo il gravissimo disastro ecologico provocato dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon. Molte le richieste di autorizzazioni e nuove esplorazioni avviate dalle maggiori aziende petrolifere. E c’è anche la Bp.

La prima azienda a rimettersi al lavoro è stata la Noble Energy che sta perforando a 70 miglia a sud-est al largo di Venice, Louisiana, in un pozzo a 1.980 metri di profondità le cui attività erano iniziate nell’aprile del 2010 e poi sospese a causa del disastro provocato dalla BP.

La BP è stata la prima a cui è stata rilasciata la licenza dall’agenzia del dipartimento dell’Interno deputato alla gestione, la regolazione e lo sviluppo dell’energia dell’Oceano (Interior’s Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement - Boemre).

L’azienda petrolifera inglese possiede il 47% delle azioni del progetto di cui è titolare ufficiale la Noble Energy cui la Bp volentieri lascia volentieri la scena, preferendo, per ovvii motivi, restare nell’ombra. “Questo permesso rappresenta una pietra miliare per noi e per l’industria offshore del petrolio e del gas – ha commentato in quell’occasione il direttore del Boemre, Michael Bromwich – Questa autorizzazione è stata rilasciata per un semplice motivo: l’operatore ha efficacemente dimostrato di essere in grado di perforare il suo pozzo in profondità in maniera sicura e di poter contenere una eventuale perdita sotto il livello del mare. Ci aspettiamo che nelle prossime settimane nuove autorizzazioni siano rilasciate sulla base dello stesso processo che ha portato all’approvazione di questa licenza”.

E così è stato. In marzo la Shell ha avuto l’autorizzazione per il suo piano di esplorazione che prevede la trivellazione di 3 pozzi a circa 900 metri di profondità, a 130 miglia dalla costa della Louisiana. Tipicamente un piano d’esplorazione descrive tutte le attività programmare dall’azienda per uno specifico sito, inclusi la tempistica delle attività, la tecnologia utilizzata, i mezzi di perforazione e la posizione di ogni pozzo.

Commentando le nuove autorizzazioni rilasciate, il ministro dell’interno americano, Ken Salazar, ha dichiarato: “Abbiamo adottato nuove norme che stabiliscono un nuovo efficace standard per la sicurezza e la protezione dell’ambiente per le operazioni offshore. Questi piani di esplorazione rispettano i nuovi standard e marcano un nuovo importante passo verso più sicure esplorazioni deepwater”.  

Sono richiesti alle aziende nuovi standard di sicurezza e, per ottenere le autorizzazioni, la Shell ha dovuto dimostrare la capacità di contenere una eventuale fuoriuscita di petrolio o gas in profondità. In caso di perdite in uno dei pozzi, l’azienda si è impegnata ad utilizzare i meccanismi di contenimento progettati dalla Marine Well Containment Company (Mwcc) con cui la Shell ha firmato un contratto.  Si tratta di un enorme tappo alto 9 metri e del peso di 100 tonnellate, detto capping stack, in grado di raccogliere e incanalare 60.000 barili di petrolio al giorno da una eventuale falla, fino a 2.500 metri di profondità. 

In realtà i rischi sono sempre in agguato, ci si prepara, però in caso di un nuovo disastro a fronteggiarli, facendo tesoro della passata esperienza, molti si chiedono se ne valga ancora la pena di rischiare di nuovo, in realtà prevalgono come sempre gli interessi economici contro la salute delle persone e la salvaguardia dell’ambiente, che appartiene a tutti.

Il Boemre ha sottoposto il piano dell’azienda anglo-olandese a una valutazione di impatto ambientale che ha tenuto conto di informazioni scientifiche che non erano state incluse nella valutazioni precedenti. In base a tali informazioni il Boemre ha ritenuto che non ci fossero impatti significativi e, di fatto, dato il via libera al nuovo piano di esplorazioni. “Il completamento della procedura di valutazione di impatto ambientale e l’approvazione del piano della Shell dimostrano senza alcun dubbio che la ricerca di petrolio e gas in profondità può essere portata avanti con responsabilità”, ha detto Bromwich.

Con questi criteri quindi, per il Golfo del Messico si è aperta una nuova stagione di ricerche e nell’ultimo mese la Shell ha ottenuto autorizzazioni per nuovi pozzi, mentre diverse compagnie hanno avviato uteriori piani. Alla Shell è seguita la Exxon che sta perforando a 2.100 metri di profondità, a 240 miglia dalla costa della Louisiana. Anche la Exxon si è affidata alla soluzione di contenimento sviluppata dalla Mwcc.

“L’industria sta dimostrando la sua capacità di contenere una perdita in profondità – ha commentato Michael Bromwich – Continueremo a considerare e approvare quelle richieste che dimostrano la capacità delle aziende di operare in profondità in tutta sicurezza. Il numero di richieste di permessi per esplorazioni in profondità sta crescendo, il che riflette una crescita nella sicurezza dell’industria sulle proprie capacità di soddisfare tutti requisiti, compresi quelli per il contenimento delle perdite ”.

L’unica novità nelle autorizzazioni riguarda la Chevron Usa, che ha avviato nuove esplorazioni a 250 metri di profondità, 216 miglia dalla zona della Louisiana. Si tratta infatti di un pozzo mai stato attivo. Le trivellazioni erano iniziate già nel marzo 2010 ma erano state poi sospese in giugno, a seguito della moratoria imposta dopo la Deepwater Horizon.

Nel Texas a 216 miglia dalla costa, si trivella invece con la Statoil che esplora un pozzo a 2.170 metri di profondità la cui approvazione, del 25 marzo scorso, è stata la sesta dal 17 febbraio, quando il Boemre ha riaperto ufficialmente i processi per le richieste di perforazioni. “Alcuni dicono che ora stiamo andando troppo in fretta, altri dicono che stiamo ancora procedendo troppo lentamente – ha detto il direttore del Boemre, Bromwich – La verità è che stiamo procedendo alla velocità con cui le nostre risorse ci consentono di approvare i permessi che soddisfano i nostri rigorosi standard ambientali e di sicurezza”.

La Statoil ha ricevuto all’inizio del mese l’autorizzazione a esplorare un pozzo a 2.380 metri di profondità, 219 miglia al largo della Louisiana. Anche l’Eni US è tornata nel Golfo del Messico e sta perforando a 860 metri di profondità, 57 miglia a sud-est di Venice, Louisiana. Si tratta di una perforazione sidetrack, ovvero una sorta di pozzo di completamento che punta a individuare una nuova posizione geologica rispetto alla trivellazione iniziale. Come parte del suo processo di approvazione anche l’Eni ha dovuto garantire la capacità di contenere eventuali perdite in profondità e in questo caso l’azienda si è affidata ai sistemi della Helix Well Containment Group (Hwcg), molto simili a quello sviluppato dalla Mwcc. Lo stesso sistema è stato scelto dalla Murphy Exloration & Production Company Well che, a 170 miglia a sud-ovest di New Orleans, sta perforando a 1.013 metri di profondità.

Intanto, mentre tra i cittadini americani cresce il consenso verso le trivellazioni deepwater, la BP prosegue la sua campagna per ripulire la propria reputazione dalle macchie lasciate dal disastro della Deepwater Horizon. Il 21 aprile l’azienda ha firmato un accordo per lo stanziamento di un miliardo di dollari per la prima fase del ripristino ambientale del Golfo del Messico.

Le popolazioni locali e le associazioni che operano nel Golfo del Messico, si sentono immobilizzati nel tempo, poiché hanno percepito che il più grande disastro petrolifero della storia rischia di diventare l’ennesima catastrofe ambientale dimenticata.

“L’olio è ancora qui – dice Dan Favre, del Gulf Restoration Network, gruppo di New Orleans che dal 1994 si occupa di proteggere e riequilibrare le risorse naturali del Golfo – La settimana scorsa sono stato a visitare delle paludi ed era chiaramente visibile. Il petrolio della BP continua a inquinare il fragile ecosistema delle paludi, si riversa sulle spiagge in forma di sfere e pellicole di catrame e ce n’è ancora una significativa quantità in mare aperto”.

Gli ecosistemi sono in sofferenza e le immagini di pozze di fango nero e animali ricoperti di olio sono ancora ben visibili e frequenti. Si è bloccata l’economia della pesca e del turismo. Il recente documentario Stories from the Gulf, realizzato dal Natural Resource Defence Council, mette insieme decine di storie di persone del luogo, esibisce quindi i danni sull’ecosistema e sull’economia e non lascia dubbi sul fatto che le ripercussioni siano ancora visibili.

“Sulle spiagge del Golfo arrivano ancora tartarughe marine e delfini morti – riprende Dan Favre – I dentici che vengono pescati hanno lesioni e infezioni, molto probabilmente causate dal petrolio. Nelle delicate paludi della Louisiana il petrolio sta accelerando l’emergenza dell’erosione costiera che ogni 45 minuti vede scomparire una porzione, della grandezza di un campo di calcio, di un ecosistema che funziona da naturale protezione per le tempeste. E anche la specie nota come uomo continua a soffrire. La gente si ammala per via dell’esposizione agli agenti chimici e non sta ricevendo cure né supporto”.

Sembra quindi che la massima degli “indiani d’America” dalle distrazioni nascono le catastrofi, non sia stata tenuta in considerazione, è sotto gli occhi di tutti infatti che le catastrofi, non solo sono iniziate ma continuano a perpetrarsi, in nome del petrolio e del consenso elettorale.

 

G. De Santis

 

Fonte: Qualenergia

 

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