E’ UN GIOCO DI PAROLE? NO UNA RIFLESSIONE. AVVALIMENTO? NO, AVVILIMENTO!
Era il maggio 2006 e, subito dopo la pubblicazione del Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sulla Gazzetta Ufficiale, scrissi un articolo (Avvalimento o avvilimento?) nel quale m’interrogavo sulla natura del“neonato” istituto dell’avvalimento e, soprattutto, sulle conseguenze che avrebbero potuto determinarsi a causa delle norme che ne vorrebbero disciplinare un fisiologico utilizzo.
L’idea del titolo mi fu offerta dal semplice fatto che il neologismo (tuttora tale se non nei dizionari italiani che cercano di legittimare gli strafalcioni linguistici della lingua parlata) veniva (e viene) automaticamente corretto in“avvilimento”: un evidente ed oscuro segno premonitore di come le cose si sarebbero poi trasformate ….
Per riprendere le argomentazioni ivi svolte ed analizzare la situazione oggi esistente, ritengo sia doveroso innanzi tutto sfatare la leggenda metropolitana circa le origini dell’istituto: una leggenda che riposa sulla massiva campagna di disinformazione che ha progressivamente rafforzato, negli anni, l’idea secondo cui l’avvalimento sarebbe un istituto di creazione pretoria le cui fondamenta partono dalla nota sentenza della Corte giustizia della comunità europea nella causa C‐389/92 (Ballast Nedam Groep I v/Regno del Belgio) fino a ramificarsi in una serie di arresti giurisprudenziali italiani finalizzati, in realtà, ad interpretare il senso dei principi statuiti dalle vigenti direttive comunitarie.
A ben guardare, invece, occorre prendere atto che l’Italia giuridica (o quanto meno quella del passato) non aveva bisogno di “importare” alcunché e per dimostrare la veridicità di tale asserzione sarebbe bastato ricordare il contenuto dell’art. 67 del Regio Decreto 23 maggio 1924 n.827 (Regolamento di contabilità generale dello Stato) secondo cui – da circa ottant’anni prima che l’illuminato estensore del Codice degli appalti fosse folgorato dall’idea di dover partorire un mostro deforme – “Quando l’aspirante non possa provare tale sua idoneità, e presenti in vece sua una persona che riunisca le condizioni suespresse, e alla quale egli si obblighi di affidare la esecuzione delle opere, l’amministrazione può ammetterlo all’incanto.”
E che cos’è questa se non la versione corretta e fisiologica delle elucubrazioni racchiuse nell’art. 49 del Decreto Legislativo 163/2006?
Ma non basta. Il gruppo di lavoro del “codice De Lise” che ha fantasticato su come complicare definitivamente il mondo degli appalti inoculando il virus letale dell’avvalimento, oltre ad ignorare che non vi era alcun vuoto normativo da colmare, ha travalicato i limiti della legge delega fino al punto di immaginare, in un demiurgico delirio legislativo, la doverosa creazione di un tertium genus di soggetti normalmente coinvolti nell’esecuzione dell’appalto (appaltatore e subappaltatore): quello dell’ausiliaria.
Ovviamente i risultati di cotanta arguzia – come sempre accade quando taluno ritiene di dover svolgere una funzione messianica in qualunque ambito delle attività umane – non si sono fatti attendere.
E fin da subito, il legislatore, la dottrina e la giurisprudenza amministrativa sono stati trascinati in un onanismo interpretativo nell’arduo (tanto quanto vano) tentativo di porre rimedio alle mutanti e poliedriche deformazioni cagionate al sistema degli appalti dalla non richiesta entrata in scena dell’avvalimento così come concepito.
Anche qui, sarebbe bastato impegnarsi in una superficiale lettura per accorgersi che il sopraccitato art.67 del Regio Decreto 23 maggio 1924 n.827 aveva già previsto, molto più intelligentemente, l’obbligo di affidare l’esecuzione delle opere all’ausiliaria, ossia al soggetto che dovrebbe mettere per tutta la durata dell’appalto, i requisiti di cui difetta il concorrente per la partecipazione alla gara.
Uso volutamente il condizionale perché, salvo casi straordinari che la scienza ancora non è riuscita a spiegare e sporadici avvistamenti riferiti da anonimi testimoni, l’avvalimento in questo primo decennio si è rivelato come un mero fenomeno cartaceo evanescente che attiene, di fatto, alla sola fase della gara.
In mancanza di controlli e controllori, l’avvalimento si è rivelato lo strumento principe per l’ulteriore proliferazione di imprese appaltatrici fittizie e per la produzione di ulteriori effetti negativi dirompenti (mercificazione dei requisiti dal bando di gara, alterazione della par condicio, esecuzione di lavori da parte di imprese prive di idonea qualificazione, amplificazione dei limiti di qualificazione attestati dalla SOA, etc.) diffusisi, al pari di un male oscuro, in tutto il sistema degli appalti pubblici.
Che senso può mai avere un tale istituto (quanto meno al di fuori dell’ipotesi del gruppo societario) in un sistema dove è prevista la possibilità offerta dai raggruppamenti temporanei di impresa, dai consorzi e dal subappalto?
Quale legittimo interesse induce un’impresa a “prestare” la propria attestazione SOA ad un concorrente non legato da qualsivoglia diretto e/o indiretto collegamento societario?
Quale sana e normale gestione aziendale spinge l’impresa ausiliaria, non interessata a partecipare alla gara xyz bandita dal Comune di Vattelappesca, a permettere che un altro soggetto si avvalga per quattro spiccioli dei propri requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico o organizzativo? LETTER FINCO N.02/2014
Perché mai, giacché disinteressata alla suddetta gara xyz, l’ausiliaria si obbliga, tanto verso il concorrente (inteso non solo riguardo alla singola procedura di gara ma anche nell’accezione connessa a una fisiologica logica di mercato) quanto verso la stazione appaltante, a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse necessarie di cui è carente il concorrente medesimo?
Inutile alzare la mano per avere una risposta a questi vari quesiti.
Tanto i corsi di formazione e aggiornamento quanto i manuali che affollano gli scaffali delle librerie evitano di affrontare il problema.
Il feticcio della concorrenza, malamente interpretato dalle altalenanti e contraddittorie sentenze della giustizia amministrativa italiana, cozza con questa impostazione che appare di piana comprensione, sì che il tentativo di estendere quanto più possibile lo slogan della concorrenza finisce con travolgere non solo i principi, ma, ciò che più conta i bisogni per la cui soddisfazione è nata la procedura ad evidenza pubblica.
La strada prescelta dal Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture infrange il principio della legittima ristrettezza del mercato delle imprese attaccando lo strumento principale posto a base del sistema e determina una mutazione genetica del mercato delle imprese e della figura stessa dell’imprenditore contraente con la P.A.
L’appaltatore che ricorre all’avvalimento nel migliore dei casi è un mero coordinatore dell’attività altrui, di mezzi, finanziari e tecnici, di uomini, di capacità e di organizzazioni messe a disposizioni da altri o, più frequentemente, è un soggetto che (avendo passato indenne il vaglio della commissione di gara grazie ad un serie di scartoffie inutili) si trova ad eseguire le opere appaltate senza possedere realmente i requisiti di carattere speciale che l’attestazione SOA dovrebbero assicurare.
L’intero sistema della qualificazione SOA è così entrato in crisi poiché non è richiesto né che l’ausiliaria si trasformi obbligatoriamente nell’esecutore né che, in tale evenienza, possano essere superati i limiti quantitativi fissati dall’art. 118 del Codice per la categoria prevalente e per le cd. SIOS (almeno fino a quando sopravvivranno allo sciagurato parere dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 16 aprile 2013 n. 3104/2013).
Si è dato impulso alla nascita di soggetti “intermediari dell’avvalimento” (creando una sorta di finto caporalato delle imprese qualificate) facendo proliferare operatori economici costituiti essenzialmente da berline di lusso e valigette 24ore, scatole vuote il cui contenuto esiste solo nella mente di chi non frequenta i cantieri.
Basta, ad esempio, digitare su Google “appalti italia ed avvalimento” ed ecco che ci si vede trasportati nel modo reale dove siti “specializzati”, alla stessa stregua dei locali per scambisti o dei club dei cuori solitari, invitano le imprese prive dei più elementari requisiti a fruire dei loro servizi.
“Abbandonate l’idea di comprare un ramo di azienda! Non conviene più!” recita, senza nemmeno troppo pudore, uno degli slogan più conosciuti…
“Con l’avvalimento potete partecipare alle gare utilizzando i requisiti della nostra rete di Aziende (ndr chissà perché con la A maiuscola), ma il lavoro ed il relativo certificato risulteranno INTERAMENTE VOSTRI.” Continua ancora il messaggio pubblicitario …
Non conviene più? La nostra rete di aziende? Avete a disposizione tutte le categorie esistenti?
Un’immagine (lievemente diversa da quella che il Decreto Bargone forse aveva immaginato) che rimanda un po’ a quei negozi “Tutto a un euro” ed un po’ a quelle casse degli Autogrill nelle quali abbondano cd e dvd impolverati che, abbandonati dagli stessi cantanti che li hanno incisi, non valgono ormai quasi più nulla.
Ma quali sono, poi, le garanzie che impediscono a queste organizzazioni di trasformarsi in un potenziale unico centro decisionale capace di alterare il libero svolgimento delle procedure ad evidenza pubblica?
E perché tanta efficienza commerciale non spende una parola sull’aspetto più importante della questione: ossia quello dell’esecuzione dei lavori a regola d’arte? Perché tali intermediari non pubblicizzano anche i servizi da loro offerti circa l’effettiva, ininterrotta e duratura messa a disposizione delle aziende e/o dei rami d’azienda che sottendono alle attestazioni SOA pescate in questo mare magnum delle inutili attestazioni SOA?
La micidiale capacità elusiva dell’avvalimento, come si vede, ha determinato la prevedibile mercificazione delle attestazioni SOA e, quindi, un’alterazione della fisiologica concorrenza nel mercato degli appalti; alterazione tanto più grave nel caso (tutt’altro che infrequente secondo quanto riferisce la vox populi) in cui il soccorso dell’ausiliaria avvenga, perfino, a totale insaputa di quest’ultima ……!
E ciò a riprova definitiva della consolidata inutilità dell’avvalimento in fase esecutiva.
Sarebbe interessante programmare un momento di riflessione ed analisi (casomai promuovendo un convegno ad hoc) sul tema dell’avvalimento ma, per il momento, ritengo che alla domanda, ironicamente posta qualche anno fa per mezzo del titolo dell’articolo sopra ricordato, si possa quantomeno concordare sul fatto che il mio pc non sbagliava: l’avvalimento è in realtà solo uno strumento di avvilimento (nel senso di quel qualcosa che rende vile, spregevole, che degrada) del sistema di qualificazione degli appalti pubblici.
Dott. Roberto Troccoli ‐ Comitato Consultivo Finco
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