Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ Autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Anoilaparola, che rimane autonoma e indipendente.
“Ci sono forse molti libri o articoli il cui autore dia l’impressione di essersi chiesto con autentica ansietà, prima di cominciare a scrivere, e poi prima di dare alle stampe il manoscritto: ‘Sono nella verità?’. Ci sono forse molti lettori che, prima di aprire un libro, si chiedano con un’ansia autentica: ’Vi troverò qualcosa di vero?’ “
E’ con questa premessa che ancora mi risuona nella mente l’articolo di Roberta De Monticelli letto sul Fatto Quotidiano sabato 25 agosto 2012 a pagina 22, che mi accingo a incontrare Pino Ranci d’Omarcio, dopo molti tentativi a vuoto.
Non facile incontrare Pino: a quanto riesco a capire dall’ultima volta che mi ha contattato, abita in un posto difficilissimo da raggiungere se non sei munito di attrezzatura appropriata per escursioni in montagna e un machete; comprensibile, dopo che il clan Claviano-Palla gli aveva fatto recapitare – quando Pino abitava in città – il rene destro di un emù in una scatola foderata di pelle di armadillo con un burropardo disegnato a mano su un foglio di carta intestata con il logo del governo del Sarzikistan dentro la scatola sopra il rene, e lui aveva recepito il messaggio.
Sapeva che i burropardi volavano basso e lui non voleva impattare con uno di loro.
Ma mentre mi avvicinavo al posto indicato da Pino, non con una certa apprensione, il concetto di verità era quello che più mi premeva sviluppare nella mia logica aristotelica, oppure anche nel sillogismo: ”quello che è, è; e quello che non è, non è”.
Ci avevo pensato molto al sillogismo, in realtà; e non si poteva escludere da ciò neanche l’affermazione per la quale: “quello che uno crede di sapere è la verità”, ma tale affermazione si ferma meramente al soggetto, ovvero l’espansione della verità soggettiva è in contrasto con quella oggettiva e dunque quello che uno crede di sapere è la prerogativa di un credo personale limitato nello spazio e nel tempo.
Che poi Pino si sia dato alla macchia, fuggito per boschi e montagne, dopo aver seminato per mezzo mondo gli sgherri del clan Claviano-Palla, per una questione di commesse di cacciatorpediniere, sottomarini e astronavi non pagate, è sintomatico di come lui si era buttato a testa bassa negli affari megamiliardari, per poi lasciarsi sfuggire tutto di mano, e mi aveva citato uno scritto letto da qualche parte che diceva: “Ma non da oggi agisce nella crisi italiana una mano invisibile che punta a esasperare tutti i fattori di rottura e per ottenere questo scopo non esita a ricorrere al classico metodo criminale del terrorismo, mercenario e professionista, non terrorismo ideologico. [...] a un ambiente che è alla ricerca di rotture violente, a un’ala golpista e avventurista che si muove all’interno della drammatica crisi che ha investito la società politica italiana e che calcola che da un massimo di confusione, di disorientamento, di tensione e di ribellione si potrà trarre il massimo profitto, potrà forse prendere corpo anche il progetto di uno sbocco traumatico della crisi in atto. Bettino Craxi, 4 agosto 1993.” Era terrorizzato.
In effetti io sapevo da dove veniva quella citazione; pagina 131 di: “Mani Pulite, la vera storia venti anni dopo” di Travaglio, Barbacetto, Gomez, ma mi astenevo dal rivelarglielo.
L’attuale nascondiglio era la conseguenza della fuga dall’ultima località da me conosciuta – almeno da come avevo capito io -, un posto che si chiama “Costa Verde”, ridente insenatura della costa Peruviana, un golfo dove la gente di Lima va a fare il bagno al mare e prendere il sole sulla spiaggia che per arrivarci a piedi dalla terraferma devi passare attraverso una lunga struttura tipo un cavalcavia coperto, sopra le strade di scorrimento che costeggiano la spiaggia, quest’ultima poi separata dalla terraferma da una serie statue piazzate su un terrapieno d’erba piuttosto largo inserito tra le due strade di scorrimento che se visto dall’alto della collina sovrastante il golfo e da una certa angolazione, sembra che una delle statue sia simile alla parte finale di una gigantesca chitarra, quella dove ci sono le chiavette per accordarla, e gli alti tubi che sorreggono la statua sul suo piedistallo, le corde; l’ossatura della base di cemento sottostante il tutto poi pare fatta a guisa della cassa della chitarra con la sua sinuosa forma caratteristica.
Mi chiedevo perciò se era a causa del motivo descritto poco prima – la persecuzione dei Claviano-Palla, per quel pasticciaccio brutto delle commesse dei sottomarini, cacciatorpediniere e delle navi spaziali – oppure per altri motivi che Pino si era reso latitante; era innegabile che arrivare ad un tale livello di potere e responsabilità può giocare scherzi orrendi anche su una personalità indurita da anni ed anni di incontri con personaggi spietati e senza scrupoli, e per crearsi una sorta di corazza Pino abbia ecceduto in droghe di ogni tipo, alcol e superalcolici in quantità industriali, e avrebbe esagerato per molti decenni in potenti stimolanti farmaceutici.
Oppure era altresì inconfutabile il fatto che l’uso di intossicanti in dosi così massicce avrebbe inevitabilmente influito sulla personalità di Pino in modo così drastico, da creargli danni cerebrali talmente pervasivi e duraturi, che sarebbe stato consequenziale lo sviluppo di disturbi mentali che lo avrebbero portato ad un’insorgenza conclamata di una forte forma di schizofrenia, da rendere impossibile per lui ogni forma di relazione sociale.
Era principalmente per questo motivo credo, che si era reso inavvicinabile e che si sarebbe creato una campana di vetro molto personale per evitare ogni tipo di contatto umano. Forti, fortissimi traumi direi.
O forse potrebbe essere stato il fatto che per molti anni il giro di amici che frequentava da adolescente gli aveva appioppato quel nomignolo inserito nel suo nome e cognome – “Burro” – che in spagnolo significa “asino”, perciò il suo nome completo si leggeva: Pino “Burro” Ranci d’Omarcio (spesso però i suoi amici-detrattori lo chiamavano “Burro” Ranci d’Omarcio), e per qualche misterioso motivo il fatto che, come detto prima, l’ultimo posto conosciuto da dove si sarebbe sviluppata la sua latitanza era un posto dove la lingua spagnola era la lingua ufficiale, avrebbe forse avuto il suo significato. Ma tant’è.
Certo la quantità gigantesca, smisurata di denaro che era passata per le sue mani per anni, non poteva lasciarlo dormire tranquillo, questo è sicuro; inoltre il crollo del marcato borsistico di meno 15-17 punti che aveva caratterizzato l’enorme speculazione legata alle transazioni azionarie delle industrie metalmeccaniche connesse con l’Esercito e la Marina militare, quelle telematiche, e quelle delle ricerche spaziali di società quotate che muovevano capitali in tutto il mondo, avrebbe solleticato gli appetiti perversi di trafficanti d’armi, ogive, Kalashnikof, cannoni, bombe al napalm, armamenti chimici, metodi di puntamento GPS per governi proni alle “necessità” di fabbricanti collegati al mercato bellico; per questo, forse, si erano mossi i Claviano-Palla, e per questo, credo, Pino si nasconde.
Una volta Pino mi raccontò un fatto che mi fece riflettere – e ancora mi chiedo il perché della rivelazione di questa storia – e cioè: uno legge le cronache dei giornali o si guarda i telegiornali e ad un certo punto apprende la notizia che “un rilevante quantitativo di sostanze stupefacenti viene sequestrato dalle forze dell’ordine in un blitz nel covo di questo o quest’altro clan, oppure nascosto nel doppiofondo di lussuosi yacht. Si vocifera tonnellate di droga”; e Pino mi disse che in realtà le notizie sono in parte vere a beneficio dei media, ma il grosso del quantitativo sequestrato – quando non finisce distrutto (molto poco per la verità) – viene ri-immesso sul mercato degli stupefacenti con la ”garanzia” dell’istituzionalità e destinato alle nari, vene, e boccucce dei ricchissimi e famosissimi che fanno a loro volta ricchissimi quelli che prima del sequestro facevano la fame con uno stipendio statale.
Già, pensavo, mica puoi distruggere quintalate di stupefacente; con la crisi che c’è, vuoi che con i doppiogiochismi e le ipocrisie incistati nel (fortunatamente non totalmente) disonesto DNA italiota, il fatto che uno abbia a disposizione molti milioni di potenziali guadagni “esentasse”, contando sul pervasivo costume omertoso specie se ”istituzionale” (e dunque “garantito” al 100%), non ci faccia un pensierino, magari facendosi le croci e raccomandandosi alla Madonna? Già.
E’ riportando queste parole alla mente che la mia riflessione si soffermava su ciò che avevo detto in precedenza, cioè quello che uno crede di sapere sarebbe una categoria dello spirito espanso nella sua soggettività che si scontra inevitabilmente con la realtà oggettiva.
Ed infatti come raggiungo il posto, dopo un’arrampicata montanara di ore ed ore, sentieri ricavati a colpi di machete nella boscaglia più fitta, sterrati, mulattiere scolpite nella roccia, verità fittizie, davanti all’antro che Pino mi aveva indicato come sua dimora, mi si para una parete metallica divisoria provvisoria che blocca l’entrata con un cartello con su scritto: “Italgas. Lavori di metanizzazione. Stiamo lavorando per voi. Ci scusiamo per i disagi arrecati.” Un depistaggio.
Poco dopo l’I-pad mi squilla, e Pino mi dà indicazioni e mi direziona più avanti sulla destra.
L’altro antro vicino a quello bloccato è proprio una caverna con un passaggio che scende un poco e sorprendentemente si arriva in un ulteriore spelonca da dove si estendono una serie di stalattiti e stalagmiti molto spettacolari.
Eccolo. Lo riconosco nonostante barba e capelli lunghissimi: E’ magrissimo; veste con una pelle di cammello allacciata in vita da una cintura fatta di gomena ed è scalzo dopo anni di eleganza con completi executive: un cavernicolo, ma maneggia un I-pad di ultimissima generazione.
Appena mi vede dice: “Tu hai dei problemi.”
Non riesco a replicare perché al mio aprire bocca, Pino si incarta in una serie di monologhi, di deliri verbali dal seguente tono da soliloquio con sguardo da invasato e occhi sbarrati e voce alterata:
” Si…si potrebbe dire…ma…cioè…è per questo motivo che…ecco! Ecco! Non è che…è doveroso sapere che pr…E’ chiaro no?…E’ chiar..si…”
Poi improvvisamente passa dal tono concitato, pressante, incalzante, fatto di frasi incomplete, smozzicate, ad una sorta di falsetto verbalmente perfettamente chiaro e comprensibile – completamente antitetico a pochissimi decimi di secondi prima - , come posseduto da un’altra entità che lo sprona a lasciare la sua disturbatissima personalità precedente, e urlando dice: “LA DEVI SMETTERE CON QUESTA VOCE SCHIFOSA! DA PAZZO FURIOSO INCONCLUDENTE! NON PARLARE PIU’! MAI PIU’!”
Poi, come se fosse ritornato nell’altra personalità, e rivolgendosi a me:
“Ci hai capito qualcosa?”
E io: “No.”
E Pino: “Io nemmeno.”
Marco Rossi
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