STACCHIAMO LA SPINA ALLA CONQUISTA DI MOTIVAZIONE, INCONTRI ED EMOZIONI….PER APPRENDERE A SCUOLA E NELLA VITA.
Abbiamo letto recentemente il bellissimo libro “Togliamo il disturbo saggio sulla libertà di non studiare” della professoressa e scrittrice Paola Mastrocola , un libro bellissimo e spassoso, lo spasso di un piccolo dramma sociale che sembra di poco conto; preoccupazione di docenti e genitori che hanno i figli studenti o pseudo studenti quindi di un mondo ridotto, di una piccola ed insignificante fetta della società. Invece il fatto che i nostri figli non studiano, o meglio la maggior parte dei nostri figli non lo fa, è un problema diffuso che riguarda tutti noi, il nostro mondo sociale, il nostro futuro perché si sa che la formazione e lo studio sono fondamentali per l’individuo in quanto di individui consapevoli si forma il mondo sociale , il mondo del lavoro, il mondo della politica, della cultura, della scienza, dell’informazione, e tutti questi mondi interconnessi trasversalmente si avvitano su stessi come una grande struttura simile ad un enorme DNA e danno vita ad una sorta di struttura altra o meta-struttura che è il sociale.
L’educazione e l’istruzione, e intendiamo quelle attività intenzionali, programmate didatticamente e pedagogicamente, non casuali e circostanziali, quelle esercitate negli istituti chiamati ancora “scuole” si sono evolute nel corso della storia, si sono arricchite di esperienze, di metodi, di metodologie, di ricerca e di azione finalizzata vestendosi con gli abiti della Scienza. Secoli di storia dai maestri greci agli istitutori religiosi e non, alle educatrici e agli educatori come Montessori, Agazzi, Pizzigoni, Boschetti – Alberti, Froebel, Pestalozzi, Rousseau, per citarne solo alcuni lontanissimi eppure vicini con i loro valori universali. E da ultimi gli studiosi dell’intelligenza e del linguaggio: Piaget, Bruner, Gardner, Chomsky, Vygotsky decenni di storia della psicologia e della pedagogia, ma poi ci si rende conto che nella realtà scolastica di tutti i giorni le teorie seppure fondamentali ed indispensabili non sono bastevoli con i ragazzi che apprendono. Le funzioni non sono semplici; le variabili sono molteplici e complesse. Per apprendere bisogna coinvolgere una miriade di funzioni e capacità, ma un fattore indispensabile è la “Motivazione”. La motivazione alla conoscenza, allo studio è semplicemente un fattore interno, è una connotazione dell’essere, è il sale che condisce tutte le pietanze del nostro divenire, è un motore che si accende, è l’accensione di tutte le “sinapsi”del percepire, del ragionare, del memorizzare. La motivazione si apprende? Crediamo proprio di sì. Si apprende da molto piccoli e si insinua in una inclinazione naturale che può rimanere latente. La motivazione ad apprendere è quella curiosità in auge che ci permette di esplorare la realtà che ci circonda sin da quando siamo neonati, all’inizio è legata alle sensazioni, al portare in bocca, alla suzione, al camminare carponi, ad esperire lo spazio e a trovare assestamenti più o meno profondi tra propriocezioni e percezioni, tra mondo che ci circonda, tra psiche e mente. Una volta i bambini apprendevano la motivazione dai grandi, dalle narrazioni, dai racconti, da quel filo invisibile e tenace che connetteva due persone fisicamente vicine che divenivano un tramite affettivo intessuto tutto di narrazione ed ascolto e l’ascoltare si sa popola di immagini e di idee la mente di chi ascolta.
Ecco, forse si è persa la capacità di ascoltare. Nei corsi e ricorsi della storia della conoscenza si è passati da una sintesi orale basata sull’ascolto e sull’elaborazione di un racconto, ad una sintesi visiva come quella che operiamo oggi nell’era del virtuale e del cibernetico che non è la sintesi visiva portata dall’invenzione straordinaria di Gutenberg. Non è più la sintesi visiva della parola stampata ed impressa sulla carta che scorre da sinistra a destra, dove l’occhio si muove lentamente e la mente apprende in modo più o meno riflessivo, riconoscendo e ritenendo informazioni; è invece la sintesi multimediale, l’accensione simultanea di una infinità di nodi in una grande ed interfacciata mappa concettuale virtuale ed evanescente. Forse per questo non si ha più la motivazione ad aprire un libro e leggerlo, di indirizzare l’attenzione verso l’insegnante che spiega, di studiare il latino, la matematica, la fisica, la storia perché improvvisamente quello che doveva essere solo uno strumento intelligente a sostegno della ricerca e dello studio e cioè il computer, Internet, il multimediale, il cellulare di ultima generazione, il social net-work sono diventati un centro d’interesse modernissimo bastevole a soddisfare nell’immediato una richiesta, una curiosità, un contatto, un social net-work a varie interfacce. In poche parole la motivazione, quella spinta verso l’esterno delle nostre capacità, del nostro modo di relazionarci con la conoscenza e il sapere è diventato un esternare con inerzia, un’accelerazione di stimoli in entrata che la mente scorre velocemente e sui quali forse non si sofferma sufficientemente. I ragazzi, gli studenti, i liceali di oggi non sanno più comunicare, parlare, esprimersi e di questi tre verbi le accezioni sono diverse perché esprimersi e parlare sono solo una sfaccettatura, seppure essenziale, del comunicare e comunque tutte queste capacità sono legate ed interconnesse al Pensare, si compenetrano e si alimentano, è un rapporto strettissimo tra psiche e mente e si sa che per arricchire la mente di idee sono necessarie le emozioni, non si apprende senza di esse. Bisognerebbe tornare alle origini, staccare la spina, incontrarsi realmente e comunicare in quel diadico rapporto fatto di turn talking, di quel parlare a turno che si impara da piccoli e che è alla base della nostra capacità di attenzione e di ascolto. Ci dovrebbe essere una deregulation nell’uso della tecnologia che deve essere a servizio della nostra intelligenza e non al contrario sostituirsi alla nostra intelligenza, ritrovare quel filo invisibile e tenace che lega nella narrazione, trovare quella cultura dell’ascolto che si è sopita in qualche luogo tenebroso della nostra memoria e di una nostra vecchia intramontabile abitudine che è l’essere umani.
Tornare alle origini, staccare la spina del computer, spegnere il cellulare, I Pod, I Phone, uscire dalla chat e questa volontà così forte e decisa è propria di noi adulti, ma si può insegnare ai propri figli, trasmetterla con il semplice “pretendere” che si faccia. Come genitori e come insegnanti si deve e si può “pretendere”. Non verrà da loro spegnere un mondo elettronico e cibernetico “fichissimo”, lo dobbiamo “pretendere” altrimenti si finisce in quell’inerzia che appiattisce i ragazzi e spegne loro quella motivazione insita nell’apprendere, che sta pure da qualche parte e con socratica pazienza bisogna stimolare e risvegliare in loro. Il pretendere è una forzatura si sa, ma un vero educatore, un vero maestro, un vero genitore sa che una forzatura è necessaria e va operata con dolcezza e fermezza quando chi apprende figlio, scolaro o studente si pone tra la realtà, il sapere e il divenire e chi educa è un adulto, educatore già formato che media le conoscenze intenzionalmente.
Marianna Scibetta e Antonio Capitano
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