IL TEMPO PASSA E LA POLITICA NON CAMBIA. COSI’ E’ SE VI PARE. FORSE.
Leggendo le poche e significative righe di Marco Boschini si scoprono tante cose. Si scopre quello che ciascuno di noi vorrebbe dire ma non dice. Si scopre la “bella politica” ricoperta da un muschio che nasconde ciò che c’è scritto dietro e dentro. Si riscopre il tenue grido di Tonino Guerra quando afferma: Caro Sindaco, è ora che tu cominci ad ascoltare le voci che sembrano inutili.
Le voci che sembrano inutili. E tutto sta in quel sembrare Oggi bisogna impregnare la politica con la cultura del dono, implementando nella società quella ‘civitas dei’ che immaginava San Agostino, cioè la cultura del dare” capovolgendo la cultura del prendere. Del sistemare. Delle scorciatoie.
Si avverte il bisogno di Emozioni intese soprattutto nel senso di “empatia” per l’altro, di capacità di percepire un “bene comune” da perseguire che abbraccia l’intera società, che lo Stato stesso è chiamato a promuovere partendo dall’educazione dei bambini, per quando saremo bambini.
Quelle di Boschini non sono parole, sono un manifesto. Sono un grido di dolore e di speranza. Sono rabbia e fiducia. Sono alberi che si piantano per vederli crescere. Sono la difesa di quello che abbiamo. Sono la delusione per quello che ci viene tolto. Sono queste le parole che diventano manifesto:
Il tempo passa e la politica non cambia.
Per quando saremo bambini voglio una città che parli di futuro, dove le classi dirigenti non si facciano dettare l’agenda politica e la programmazione del territorio dal consiglio di amministrazione di una qualche cooperativa rossa, bianca, gialla o nera.
Per quando saremo bambini voglio una città in cui le cose buone e giuste si possano fare non più soltanto nonostante la politica, ma grazie ad essa.
Dove le persone per bene e le scelte di buonsenso non siano una rincorsa, un affanno, un gesto eroico, ma la razionale e sana quotidianità. Il tempo passa, continua a passare, ma la politica non cambia.
Per quando saremo bambini voglio una città che si tenga stretta i beni comuni, l’acqua, l’aria, la terra, e li difenda, valorizzandoli e consentendone un utilizzo per l’intera comunità, per chi ha meno, soprattutto.
Per quando saremo bambini voglio una città fatta di case che si producono l’energia di cui hanno bisogno, fatta di uffici a basso impatto ambientale, fatta di edifici verdi e spazi aperti dove ci passi in mezzo il sole, e dentro le persone. Senza telecamere, barriere, recinzioni.”.
Il tempo passa, inesorabile, e la politica non cambia.
Per quando saremo bambini voglio una città libera, da attraversare a piedi, o in bicicletta, senza l’osceno spettacolo di capannoni vuoti e grigi, di auto ammassate come tanti bufali affamati di asfalto ai bordi delle strade, sui marciapiedi.
Il tempo passa, un secondo in fila all’altro, ma la politica si ostina a non cambiare.
Per quando saremo bambini voglio una città in cui i bambini, finalmente, potranno spiegare come si fa politica a questo mondo folle di adulti, maschi, idioti.
Dove a spuntarla, sempre, non sia la legge del più forte, ma la solidarietà dell’onesto, la condivisione del buon padre o madre di famiglia, l’atto rivoluzionario di una stretta di mano, di un sorriso dolce.
Il tempo passa, guardalo come corre veloce in questo crepuscolo di società infinita nel Pianeta finito, e la politica non cambia.
Oppure sì, se passerà la convinzione che un giorno, oggi, potremo essere di nuovo bambini, e usciremo dalle sale per convegni e dai profili di facebook, per ritornare in piazza, nei luoghi di un ritrovato gusto di democrazia partecipata, sobria e inclusiva.
Per quando saremo bambini avremo staccato l’ombra delle città dalla loro terra, e potremo portare in dono ai nostri vecchi genitori ciò che loro non hanno saputo nemmeno immaginare, agire.
Sono bellissime queste parole in un’epoca di negazioni. In un epoca in cui i valori non hanno valore. Dove la politica è qualcosa per pochi che gli altri possono vedere da un buco della serratura che viene puntualmente coperto da chi non vuole far vedere cose che dovrebbero essere trasparenti. La casta, costa.
E travolge tutto. Anche il pensiero. L’ecologia del pensiero. Il pensiero pulito. Quello che emerge dalla semplicità delle azioni. Quello sottovoce che spesso arriva più di un urlo. Contro la politica dei mediocri. E spesso si scopre che in fondo per essere virtuosi basta poco.
Ci tornano alla memoria le parole profetiche pronunciate all’insediamento nella Casa Bianca dal secondo presidente degli Stati Uniti, John Adams (venne dopo George Washington e gli successe Thomas Jefferson). Siamo nel marzo 1801, esattamente duecentodieci anni fa: ”.
“Devo studiare la politica e la guerra in modo che i miei figli abbiano la possibilità di studiare l’agricoltura, il commercio, la navigazione, le leggi, la matematica e la filosofia, per poter fornire ai loro figli la possibilità di studiare l’arte dei colori e dei metalli, la letteratura e la poesia, la musica e il giardinaggio”.
Ci viene in mente un nuovo viaggio di Hyperion come nel romanzo di Holderin il viaggio dell’uomo che lotta per l’affermazione dei diritti, che ricerca se stesso, che è capace di passione e di non rimanere nell’eco del suo dolore ma di travalicare il passo verso se stesso e la natura del mondo, ritrovare l’essenziale tralasciando l’effimero, guardare avanti con le spalle cariche, alzare la testa verso un orizzonte nuovo, intravederlo, desiderarlo. Perché ancora, alla base di ogni ricerca, alla base di ogni viaggio di scoperta verso e verso la democrazia c’è l’uomo e il suo desiderio, la sua volontà alacre di camminare incontro al suo destino, di compiere quella particella del tutto che rappresenta.
Antonio Capitano
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