Opening 7 Ottobre, ore 18.30 LUCE GALLERY Corso San Maurizio 25 Torino
Il lavoro di Fordjour parte dall’esplorazione del “game-ification” nelle strutture sociali, ovvero l’identificarsi nel gioco o nello sport, e l’inerente vulnerabilità dell’individuo in questo contesto. Fordjour è cresciuto all’interno delle segregazioni razziali legalizzate a Memphis, Tennesse, e vede nello sport la possibilità di riscatto per chi ha dovuto subire ingiustizie, ma anche una struttura e dei codici troppo rigidi di cui alla fine l’atleta paga il peso.
In molti casi, l’atleta, protagonista dei suoi quadri e spesso in uniforme, che appare forte ed invincibile, viene buttato nell’arena dove lotta di fronte al pubblico oltre le sue forze; egli è vulnerabile ed apre le proprie ferite allo sviluppo del gioco stesso, diventando egli stesso sostituibile, posseduto dall’estabilishment della squadra e responsabile di fronte a loro.
L’esperienza ed il confronto di queste idee aprono il lavoro di Fordjour ad una più ampia possibilità di ricordo delle sue personali ansie, come artista, come uomo Afro-Americano, soggetto esposto a varie forme di ostilità ed incertezze. In questo momento, quasi di cristallizzazione, la memoria dell’artista torna al tempo in cui in giovinezza ha compreso le ingiustizie delle disparità razziali compiendo una semplice analogia con le regole dello sport, per cui se le stesse non sono corrette, per quanto l’atleta possa giocare bene ed impegnarsi, egli non potrà mai vincere, come un bambino nero- Derek Fordjour – nell’eterna battaglia contro i segni dell’inferiorità. Questo simbolo di ingiustizia implica complessi problemi sociali in una narrativa artistico-allegorica.
Lo spazio sociale occupato sia dal “gioco” che dall’arte all’interno della cultura, costituiscono un fertile punto di discussione e critica sociale. Gli sport e le arti sono entrambi universi culturali. Non è immaginabile una cultura, passata o presente, che possa escludere entrambi. Quale sia la loro relazione è dunque punto di partenza per il lavoro dell’artista.
Per Fordjour lo sport dovrebbe senza dubbio essere riconosciuto come forma d’arte – sport ed arte hanno quel genere di relazione che Johann Wolfgang Von Goethe descriveva come affinità elettive- . Essi non hanno scopi pratici ed entrambi sono nati per quello che il filosofo Johan Huizinga ha chiamato “l’istinto del gioco”, oltre a relazionarsi tra loro in modo sibillino, sono compresi nell’estesa famiglia della “cultura”.
La nozione della “iper-aspettativa” suggerisce nuovamente ansietà nell’artista, come elemento riscontrato attraverso il completamento dell’educazione. In tal senso l’artista introduce nei suoi lavori la presenza delle medaglie e dei trofei, come simbolo negativo, che diviene punto di domanda nella scala dei valori dell’affermarsi attraverso un premio, ma anche potere dinamico distruttivo dei talenti neri attraverso la proprietà dei bianchi, ovvero una cronico onere psicologico per gli atleti di colore, che devono costantemente dimostrare la propria forza disconnettendosi dalla propria comunità.
Il primo incontro dell’artista con la scultura e l’oggetto sono stati gli intagli nel Ghana, al tempo stesso decorativi ed utili. Egli ricorda da bambino i regali del padre al ritorno dalla terra d’origine, come le palle di legno, o i busti neri che ricordavano le statue dei campioni dello sport.
Influenzato dalla narrativa figurativa dell’artista tedesco Christophe Ruckhaberle, come dai suoi elementi teatrali, le distorsioni dello spazio circostante, il movimento della scena, in modo che il pavimento diventi tutt’uno con il piano del quadro, Fordjour individua il soggetto quasi come una scultura racchiusa in e piccole nicchie che ricava all’interno del dipinto, confondendole con lo sfondo usato nella composizione, concettualizzando spazio e figura.
Mentre i pattern contenuti sui muri od i pavimenti hanno un significato simbolico, funzionando da strumento visuale, incrementano l’effetto ottico consentendo una ricca interrelazione tra immaginario e spazio reale all’interno fella struttura portante del dipinto. L’interesse per una prospettiva piatta sono referenziali di Wayne Thiebaud e di quell’intento di catturare l’opulenza e l’ atmosfera di quella classe Americana medio-alta.
Influenzato da Kerry James Marshall e dalla sua convinzione che la figura nera ostenti un apologetico ruolo nei canoni della storia dell’arte, il lavoro di Derek Fordjour si relaziona principalmente in un’inchiesta sulle disparità economiche e politiche che si manifestano nelle varietà dei sistemi sociali, ponendo l’accento su certe inguaribili iniquità correlate ad una cultura ossessionata dal desiderio di vincere ad ogni costo, sia individualmente che collettivamente.
Derek Fordjour, classe1974, vive e lavora a New York, NY.
Tra le mostre personali ricordiamo Upper Room, Robert Blumenthal Gallery, New York, NY; Meritocracy, Jack Bell Gallery, London, UK;The Big Game, Storefront Ten Eyck Gallery, Brooklyn, NY e Derek Fordjour : Eight Paintings, Papillion Art, Los Angeles, CA.
Tra le mostre collettive ricordiamo March Madness, curata da Hank Willis Thomas & Adam Shopkorn, Fort Gansevoort, New York, NY; Summer Fling, Johannes Vogt, East Heampton, NY; And There is an End, Roberts & Tilton Gallery, Los Angeles, CA; Mixed Doubles, Sometimes Gallery, New York, NY; No Such Place, Edward Tyler Nahem Gallery, New York, NY.
LUCE GALLERY
Corso San Maurizio 25
10124 Torino, Italia
T. +39 0118141011
www.lucegallery.com // info@lucegallery.com
Orari galleria: dal martedì al sabato 15.30 – 19.30
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