“ATTENZIONATI”
 
Un’economia che non conosce crisi – in questo secolo XXI del nuovo medioevo – è e sempre sarà, l’industria degli armamenti. Coloro che vendono armi ai regimi dittatoriali e a quelli democratici (come deterrente, per garantirsi una “pace armata”) certo non sono degli stinchi di santo.

 

Le maggiori industrie sul territorio (metallurgia, componentistica, ed in ultima analisi la compravendita di energia, da quella elettrica al gas e suoi derivati) hanno notoriamente un’economia “palese”, legata a doppio filo all’ormai onnipresente e onnivora “alta finanza” del capitalismo globalizzato, e una molto nascosta; quella della costruzione, assemblaggio, manutenzione e vendita di materiali atti alla purtroppo necessaria costruzione di armi, munizioni e produzione di esplosivi, nonché lo sfruttamento del nucleare in campo militare (non propriamente centrali nucleari, ma ricerca e investimenti, studio del territorio da parte di imprese economiche del settore) e lo stoccaggio, produzione e smaltimento delle scorie altamente tossiche ad esso connesso. Per non parlare dei costi.

 

Prima che il servizio militare diventasse volontario anche in Italia, quello che s’imparava per decreto governativo nel servizio di leva era l’obbligo a maneggiare armi intorno ai diciotto anni; se si continuavano gli studi dopo essersi diplomati, si poteva ricorrere alla temporanea esenzione dal servizio militare attraverso l’attestazione di frequenza universitaria, ma una volta laureati non si sfuggiva. Il servizio di leva era obbligatorio. 

 

Adesso proviamo a immaginare un laureato che stava per entrare nel mondo del lavoro: non appena gli si prospettava un futuro promettente doveva necessariamente interrompere la carriera ancora in erba per imparare il funzionamento di pistole, fucili, cannoni, bombe, esplosivi e affini, nonché ingoiare montagne di rospi rispondendo “signorsì” agli ordini dei superiori. Non un intermezzo allettante – un anno sotto le armi – e la carriera andava a farsi benedire,  sempre che non si scegliesse quella militare.

 

Quanti giovani adulti trenta-trentacinquenni, in tali circostanze avrebbero sfogato la loro frustrazione violenta nel vedersi impartire ordini da ragazzi poco più che ventenni, dopo sacrifici di studi perseguiti in previsione della formazione di una vita propria? Direi una buona parte. 

Fino a circa la fine degli anni ottanta, il lavoro era molto più facile trovarlo che adesso; e l’apprendimento della disciplina militare intorno ai trenta anni avrebbe potuto creare un “ingorgo” di frustrazioni tale da creare nelle menti umane una necessaria voglia di riscatto verso le innumerevoli e ingiuste assurdità della società, in tutte le sue paradossali forme burocratiche. Ergo, o si diventava parte del meccanismo fagocitante, del ”sistema”, o si rimaneva ai margini. E l’equilibrio interiore si spezzava per sempre.

 

Appare chiaro quindi che la conoscenza bellica, appresa in giovane età, rende ancora più preoccupante la formazione di menti che se incanalata in maniera errata potrebbe creare mostri fuori controllo. Non un bell’auspicio; e tale conoscenza acquisita nel maneggiare armi ed esplosivi catalizzerebbe la rabbia di personalità magari irresponsabili per natura, e potrebbe spingere all’utilizzo di strumenti di morte per risolvere drasticamente le frustrazioni di cui sopra.

E’ ovvio che l’ambiente militare è super-monitorato, proprio perché si occupa della formazione di individui che potenzialmente potrebbero contemplare l’omicidio “garantito” dallo Stato, e questa incoerenza si potrebbe riassumere nel fatto che lo stesso “sistema” “accoglie” i fagocitati, li plasma secondo le esigenze. E gli “attenzionati” divengono col tempo “attenzionatori”.

Le forze dell’ordine ”attenzionano” per “proteggere”. I latitanti che per anni hanno goduto di tali “privilegi” sono appunto quelli che, in quanto socialmente pericolosi, con innumerevoli conti in sospeso con la giustizia – vivono perennemente nella “zona grigia”.

 

In una società come quella attuale dove la corruzione, la graduale perdita di coesione sociale a scapito di individualismi sempre maggiori, la paura indotta da populismi deliranti da parte di una destra governativa aggressiva, incoerente, violenta, razzista, e xenofoba, “risolvere problemi” attraverso iniziative personali sarebbe vista quasi come l’unica via da percorrere, data anche la scarsa identificazione con ideali democratici adesso sentiti come debolezze, e vilipesi. E la possibilità di usufruire delle lungaggini e delle assurdità insite nell’apparato statale, cioè vedere come (non) funzionano le cose ”dall’interno”, ti regala poi quasi la patente per delinquere.

 

Quante volte apprendiamo dai media, per esempio, di omicidi perpetrati in luoghi pubblici con tanto di testimoni oculari che interrogati susseguentemente per formalizzare le indagini, rispondono trincerandosi dietro tragici: “Non ho visto nulla”; “ero da quell’altra parte troppo lontano per vedere cosa succedeva”; o “non chiedete a me”? Innumerevoli. Paura? Ovviamente sì.

 

Ma quanto potrebbe essere ipotizzabile la sceneggiata di falsi testimoni che magari erano sul luogo del delitto ore prima presidiando il territorio per supervisionare l’azione criminale in tutti i suoi dettagli? In fatti di sangue del genere, nulla, ma proprio nulla è lasciato al caso. Il delitto di questo o quello è stato pianificato da mesi, il luogo scelto con cura, i simbolismi pure e le “comparse” anche. Fortunatamente questi sono casi relativamente isolati, la struttura sociale del Paese è solida e coesa (ipocritamente parlando).

 

Poi uno dice che si diventa fatalisti, superstiziosi, o ci si affida alla fede religiosa. (La forte devozione religiosa è una delle caratteristiche fondamentali delle consorterie criminali in Italia e non solo.)

 

Ma se anche nell’iconografia cristiana le armi sono elevate a “santità”: parole come “Legionari di Cristo”, “Guerrieri della Fede”, “Soldati Cristiani”, cosa sono se non il simbolismo divino del combattere in nome della fede? Tutto il contrario di ciò che Gesù predicò: il culto della non-violenza era una prerogativa della cristianità originale; il perdono la sua militanza, contro gli armamenti che invece nella Bibbia – con l’esaltazione della violenza da parte di un Dio geloso, vendicativo e intransigente – venivano resi strumenti di prevaricazione e di “giustizia divina”.
Lucida follia.

 

Nella Bibbia è infinitamente presente: profeti visionari, esaltati, fanatici dell’unico Verbo arrecante verità. Inflessibili. Tra animali parlanti, parti di pargoli da coppie in avanzata età (dove al contrario la madre di Gesù avrebbe partorito a sedici anni – dunque minorenne – benché fecondata dallo Spirito Santo) e macchine di natura misteriosamente inter-galattiche; o profeti improvvisamente muti. Tutto molto irrazionale.

 

E dopo lo scoppio della guerra in Libia, cosa esattamente sappiamo noi utenti dei media che succede? Per esempio rifornimenti di cibo, acqua, medicinali, carburante e beni di prima necessità, sono ancora disponibili? Evidentemente no. E come si vive nelle case di Tripoli, Misurata, Tobruk per citare alcune delle città assediate dalle truppe governative?
L’industria degli armamenti è invece a pieno regime. Da troppo tempo. Meglio il servizio civile e l’obiezione di coscienza; almeno i “fagocitati” potrebbero rendere la società un minimo più vivibile.

E passo dopo passo rendere le guerre illegali.

 

Marco Rossi.

 

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