AFFARUCCI DI FAMIGLIA. OVVERO: DOLCI NONNINE, ZIETTE, BIS-NONNI E BIS-NIPOTI.
“Allora, mamma basta che tu spingi questo tasto qui e il resto lo fanno loro”.
“Aspetta che mi devo mettere gli occhiali, ‘ste scritte sono così piccole… so’ anziana…”
“Allora mi raccomando, tu fai come ti dico; loro fanno il resto”.
“Loro chi?”
“Il Sistema. Loro pensano a tutto. Tu devi solo spingere questo tasto e trovarti nel posto giusto al momento giusto. E basta.”
“Vabbè. Ma questo sistema dov’è? Chi sono? Si può vedere? Toccare?”
“No.”
“E come si fa a sapere se ‘loro’ stanno pensando a tutto, come faccio io a sapere quando devo farmi trovare al posto giusto al momento giusto?”
“Non ti preoccupare mamma, tu devi solo spingere il tasto, quando il Sistema ti dice di farlo.”
Questo dialogo è ovviamente in italico idioma ma parte in origine in un dialetto non meglio specificato dello Stivale.
In un contesto di controllo iperpoliziesco di prammatica permanente che riempie la vita dei cittadini tutti i giorni, un posto di rilievo lo svolgono le consorterie criminali, che da moltissimi decenni hanno fatto dell’infiltrazione nei vari rami della pubblica sicurezza (per citare uno dei tanti enti pubblici) una parte preponderante delle loro attività. Un sistema informativo parallelo.
E non un posto di secondo piano lo hanno anche persone che sembrerebbero non c’entrare nulla; una volta entrati a fare parte di tali consorterie, l’unica via d’uscita è, o l’ergastolo o la morte.
Nel fine pena mai, quello che si apprende superficialmente sarebbe appunto la condanna a scontare, in un regime carcerario, la propria pena per tutto il male assoluto perpetrato in lunghi anni di ”carriera malavitosa”.
Il carcere però viene visto come una “conseguenza necessaria” al crimine: “Un malacarne qualche anno di ‘branda’ prima o poi se lo deve fare”; e nel gergo malavitoso, il carcere, anzi il periodo di detenzione, è detto “andare all’università”.
Chi supera quella soglia, il portone dell’istituto di pena, è in procinto di conseguire una “laurea” e uscito verrà considerato dai suoi compari come ”persona di rispetto”.
Se si raggiunge un’età veneranda poi (non facile, in un ambiente dove l’omicidio è visto come una “rapida soluzione a tutti i problemi”), i galloni guadagnati verranno visti come segno di “onorata carriera nel Sistema”, e l’età certo non è un ostacolo alla perseveranza del male, anzi: un aspetto da mite pensionato o pensionata trae in inganno ancora di più.
La mente umana, un reticolo di connessioni in costante contatto le une con le altre non è altro che la trasposizione “esteriorizzata” del Sistema. Un reticolo di connessioni atte al controllo della funzionalità del corpo che risponde agli stimoli esterni.
Il modello mentale è la struttura del reticolato.
Come detto perciò, l’abbandono di queste connessioni, più propriamente contatti (del “reticolo”), si ottiene solo con la morte.
Ecco: il potere del reticolato del Sistema, rende anche il più influente in una pedina; un testimone di quella facciata della vita che non è possibile vedere se non attraverso la lente d’ingrandimento della conoscenza “indotta”.
Per questo motivo, il premier fa quello che fa: niente. Non si muove. Le sparate del suo ufficio stampa sono solo vuota propaganda per vendere un prodotto. Il “Sistema” (i sicofanti e accoliti) pensano loro a tutto.
I paralleli sono altresì inquietanti se consideriamo che una ”rete di protezione”, controllo, accertamento dei fatti e “assistenza” sono la caratteristica di gruppi di pressione ad altissimi livelli nel tessuto di potere sociale, politico e finanziario; e la sottile linea che differenziava i maggiorenti dai peggiori criminali diventa sempre più indefinita, fumosa impalpabile, impercettibile.
I ricchissimi e potentissimi usufruiscono degli stessi “servizi” a disposizione del “Sistema”.
La questione allora è: di quale Sistema stiamo parlando? Quel reticolato sociale visibile nella vita di tutti i giorni fatto di appostamenti di anziane mamme, zie, nonnine e miti pensionate/i, prelevati da auto di pattuglia che - in funzione dello spionaggio da loro stessi perpetrato in un sistema informativo parallelo – sono ben visibili agli occhi degli “attenzionati”, oppure quello invisibile, informativo, accessibile solo attraverso i vari gadgets elettronici? Tutt’e due.
Il potere costruito sull’intimidazione, la corruzione, il mercimonio di preferenze, rende l’azione decisionale statale una farsa inefficiente e grottesca; il vero gioco dell’influenza politico-istituzionale non si costruisce dentro i palazzi ma dentro gl’istituti di detenzione e dentro il Sistema ad essi connesso.
A pagina VI di “Saturno”, l’inserto del Fatto Quotidiano del 17 Giugno, Yamina Oudai Celso, recensendo il volume del neuroscienziato Lamberto Maffei, “La libertà di essere diversi. Natura e cultura alla prova delle neuroscienze” scrive: “Esecutori o artefici del proprio destino? Predeterminati geneticamente o capaci di innescare una dialettica creativa con le condizioni ambientali?
E’ l’inaggirabile dilemma filosofico che da millenni vede fronteggiarsi, ai due estremi opposti, natura e cultura, croce e delizia di quell’ambigua condizione che siamo soliti definire libertà umana (…)
Osservando la libertà dalla peculiare prospettiva del neuroscienziato, scopriamo innanzi tutto che, contrariamente alla communis opinio, il patrimonio cromosomico che ogni essere vivente reca in dote non costituisce soltanto un vincolo ineluttabile alle nostre scelte comportamentali: il corredo genetico, in realtà, fa affiorare in noi anche la propensione all’originalità e alla differenziazione, e può probabilmente essere correlato a una spinta evolutiva a preservare la variabilità della specie. E al di là dei cromosomi esiste un ulteriore amplissimo margine entro il quale la nostra capacità di autodeterminazione può esercitarsi, che coincide precisamente con la cosiddetta neuroplasticità (…)
Ma sul piano della libertà individuale i mutamenti indotti dalla neuroplasticità possono configurare un’arma a doppio taglio, trasformando i nostri cervelli in macchine in serie, omologate e facilmente influenzabili o, alternativamente, in pregiati congegni artigianali.
Il primo caso corrisponde alla vicenda dell’homo videns globalizzato e massmediatico, i cui circuiti sinaptici vengono plasmati in funzione della rapida e acritica decodificazione di messaggi generici e spesso ingannevoli.”
I mutamenti della neuroplasticità sono perciò – come detto in precedenza – parte della conoscenza “indotta”; la rete di connessioni è la stessa che forma ”quello che pensi di vedere”, - il frutto della tua immaginazione -, in una “decodificazione di messaggi ingannevoli”; ovvero le dolci nonnine, i pacifici e sereni bis-nonni, miti pensionati – informati da bis-nipoti, da cugini – sono lì col telefonino, ipad, o iphone in mano per avvertire il Sistema, in un dialetto, un gergo spesso incomprensibile, spiando per strada gli spostamenti dei ”nemici del Sistema”. Gli addetti alla “Guardiania” non hanno età.
Fa venire in mente la sequenza del film “La banda degli onesti” con Totò e Peppino, quando Totò (Antonio) viene estratto a sorte per spacciare la banconota da diecimila lire falsa: Totò si avvia sconsolato verso il bar prescelto e improvvisamente si ferma, e voltandosi verso Peppino (Lo Turco) e Giacomo Furia (Cardone) - gli altri due componenti della banda – e, nell’ultimo disperato tentativo di chiamarsi fuori dall’atto fuorilegge, dice: “M’aveta chiamate?” Al diniego dei due che lo guardano interdetti, non avendo spiccicato una sillaba, risponde: “Non me chamata”.
Il negare la negazione dell’evidenza: Totò caratterizzava chi era “oltre la menzogna”. Il vuoto metafisico.
Marco Rossi.
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