ANIMALI DA AFFLIZIONE, LA SPAGNA E LA LUNGA SIESTA.
Si chiamano perreras e almeno nel nome non si distinguono troppo dai nostri canili. Luoghi deputati alla raccolta e allo stoccaggio degli animali, in attesa di un loro smaltimento.
Fin qui potrebbe sembrare stupido notare l’altrui pagliuzza, per gente quale siamo avvezza a trasformare la grata compagnia in una colpa, all’ombra però di modernissime leggi, vanto di un apparente e profondissimo sentimento d’empatia destinato a porsi quale nuova frontiera della società civile globalizzata. Le cloache di casa nostra, insomma, tutto ciò di cui ci disfiamo come polvere sotto il tappeto, sembrano almeno formalmente preservare il diritto alla vita. E alla speranza.
Non è così in Spagna, dove si preferisce credere che il randagismo più che un grave problema sociale sia un affare di decoro pubblico.
Come la spazzatura nelle strade, è sufficiente ripulire, senza lasciare traccia alcuna. Non di benessere animale si dovrebbe allora discutere, perché a mancare è proprio il rispetto per la sofferenza che si ritiene parte di uno stesso, condiviso, destino. Non è per questa ragione che il nostro secolo si è avviato alla distruzione di ogni forma di razzismo? Non è per il dolore, male ontologico di questo mondo, per il suo comune sentire e il naturale istinto a rifuggerlo, che le nostre società hanno elaborato i più grandi sistemi filosofici e le più ardite preghiere? Che cosa dovrebbe distinguere mai un essere senziente da un mero oggetto, se non la banale considerazione che la vita è prima di tutto capacità di relazione? E come si può davvero giustificare l’esistenza di una categoria di individui, definita d’affezione, se ad essi non è concesso il primo e più elementare bisogno primario? Può forse esserci una tutela e un riconoscimento dell’altro, della sua capacità di provare le nostre più naturali emozioni, quando è deliberatamente negato il diritto alla vita?
I cani portati nelle perreras dai proprietari vengono uccisi dopo 10 giorni; oppure 20, se a occuparsi di loro è il lacero, l’accalappiacani iberico. Tutto legale, anche se raramente questi animali sopravvivono per più di una settimana alla fame, alla sete, alle botte, alle malattie: nella sola Madrid, l’anno scorso, sono state raccolte circa 6 tonnellate di cadaveri fra gatti e cani. Le perreras ottengono sovvenzioni di circa 60 euro per ogni cane che entra, ma nessuna retta è pagata per il loro mantenimento. E’ normale che si generi un mortale ricambio, che si chiama eutanasia solamente perché è autorizzato dalla legge. Il fenomeno a malapena si scorge perché i cani vengono uccisi prima che diventino troppi e che la loro presenza nelle strade crei qualche imbarazzo.
Le autorità non controllano o si preoccupano d’intervenire per garantire condizioni di benessere agli animali rinchiusi. E’ normalmente interdetto l’accesso ai privati cittadini e ai Comuni non interessa vagliare l’eventualità di alternative eticamente più umane; così si preferisce pagare aziende che funzionano come imprese della morte. Sorgono persino finte associazioni protezionistiche che s’incaricano di uccidere cani e gatti per la municipalità.
Le camere a gas sono illegali, ma continuano ad esalare fumi mortali in molte perreras. L’uccisione spesso avviene tramite l’iniezione di una sostanza paralizzante, il T-61, l’Anectine o il Mioflex, che provoca una lenta e dolorosa agonia; altre volte però, proprio perché lo sterminio non è una condizione barattabile ma un destino ineludibile, la pietà è un prezzo troppo alto da pagare: diventa perciò più economico ridurre queste creature all’inedia, senza cibò né acqua. I cani che mostrano una mole imponente, hanno una brutta reputazione o presentano un qualche disagio sono i primi a sparire, soprattutto perché difficili da adottare. Vengono allora raccolti in sacchi della spazzatura e posti in un congelatore. Non è dato sapere a quali altri scopi possano servire, forse in pasto agli altri condannati, probabilmente inceneriti o destinati a riposare nella discarica comune. Si calcola che giornalmente nelle perreras spagnole muoiano migliaia di animali. Per far fronte a questa tragica situazione, le associazioni animaliste ricorrono allo strumento dell’adozione, battendosi nel contempo contro gli abbandoni, senza tuttavia riuscire a salvare tutte le vittime di questa barbarie: cani e gatti derelitti verranno sacrificati dagli stessi enti che vengono pagati per accoglierli. Ogni animale ha una propria scadenza, determinata al momento in cui giunge in questo braccio della morte; la sua vita in parte dipende dalla tempra, dalla capacità di sopportare la fame, dall’eventualità che altri suoi simili non siano malati, dall’indulgenza degli inservienti e dal buon cuore dei volontari. Non esistono regole definite. Per uno che si salva ce ne sono almeno dieci che muoiono fra atroci sofferenze.
La totale mancanza di ogni norma igienica e sanitaria, di misure veterinarie, di profilassi o cura alcuna, e la stessa possibilità per i Comuni che non hanno stipulato alcuna convenzione di uccidere cani e gatti di strada per mano del veterinario di paese, rendono il quadro tracciato assolutamente drammatico. Chi desidera adottare un cane deve altresì pagare una somma che dipende dalla volontà del proprietario del canile.
L’orrore giunge a compimento nella sua forma più perfetta, la ricorsività. Le amministrazioni locali non si preoccupano di promuovere sul territorio programmi di sterilizzazione e microcipaggio, campagne contro gli abbandoni per la prevenzione del randagismo. Questo significa, purtroppo, avere la possibilità di agire solo sulle conseguenze del fenomeno senza mai riuscire a porvi rimedio: ogni cane recuperato in una micidiale lotta contro il tempo e l’indifferenza, si tramuta presto in uno spazio destinato ad accogliere altre vittime.
Le perreras sono centinaia sul territorio spagnolo e si reggono grazie alle convenzioni con i Comuni. Non esiste un’autentica legge nazionale di tutela degli animali d’affezione, che dipendono direttamente dalle singole Comunità Autonome. In genere l’uccisione di cani e gatti abbandonati rappresenta un affare di poco conto, se si esclude la Catalogna, dove la mattanza è vietata. In alcuni casi, l’entrata in vigore della legge che impone l’identificazione attraverso il microchip, per esempio nella Comunità di Extremadura, ha purtroppo incentivato l’abbandono, sia per evitare il costo del dispositivo elettronico d’identificazione, circa 50 euro, sia per eludere ogni responsabilità diretta sulla gestione e la cura del proprio animale. In vero esiste una norma che è servita qualche volta a condannare i colpevoli di maltrattamento.
Si tratta dell’ art. 337 del Codice Penale, per il quale “coloro che maltrattano con accanimento e ingiustificatamente animali domestici, causandone la morte o provocandone lesioni che producano un grave danno físico, saranno puniti con una pena da tre mesi a un anno di reclusione“. Ovviamente in questi casi l’abbandono, l’omissione di soccorso e l’incuria nei confronti di cani e gatti, sono catalogabili quali semplici negligenze perché non presuppongo necessariamente un danno fisico grave e non causano la morte diretta. Ignorare le esigenze etologiche di questi indifesi animali, magari con la reclusione in una stanza buia e una catena al collo, rappresenta una finezza psicologica che la legge non contempla. C’è da precisare, inoltre, che la possibilità di applicare questo articolo del Codice Penale è piuttosto remota, giacché le Comunità Autonome gestiscono a propria discrezione i casi di normale amministrazione, nei quali, per forza di cose, si fanno rientrare anche le eccezioni. Per non parlare del mistero che avvolge la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, recentemente ratificata dalla Camera italiana dopo 23 anni ma ancora lettera morta in terra iberica. Le perreras tuttavia sono solo il braccio armato di una volontà che ha già deciso della sorte di questi animali, abbandonandoli per strada o consegnandoli a queste imprese della morte.
Per fermare il massacro nel frattempo si è creato una sorta di turismo dei diritti, un ponte di solidarietà che mira a portare cani e gatti prossimi alla morte in altri paesi, dove la legge sul benessere degli animali non consente la loro uccisione. L’idea è nata da una ragazza italiana che lavora a Burgos, Claudia Conte. Insieme a un gruppo di volontari, collocati sia in Italia sia in altre città della Spagna, ha creato un’eccezionale rete di sostegno con la quale, non senza immensi sforzi, è riuscita già a salvare centinaia di cani e gatti. Il suo rappresenta un primo e preziosissimo tentativo di rendere nota questa tragedia, nella speranza di creare un movimento di trasformazione della società civile spagnola che si concluda con una riforma dell’attuale legge nazionale sul maltrattamento degli animali.
Antonello Palla
Antonello Palla
Italy Communications Manager
Animals Asia Foundation
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Per aiutare Claudia Conte, sostenere il suo meraviglioso progetto e magari accogliere uno dei suoi splendidi pelosi alla disperata ricerca di una nuova vita:
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