The Revolution Will (Not) Be Televised
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ Autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Anoilaparola, che rimane autonoma e indipendente.
The Revolution Will Not Be Televised (in inglese letteralmente: “La rivoluzione non sarà trasmessa in televisione”) è un singolo di Gil Scott-Heron del 1970. È un brano parlato di protesta con influenze soul e funk classificabile anche come antesignano della musica rap ed integrabile nella controcultura hippy degli anni ’60 e ’70. Nel brano l’autore incita l’ascoltatore all’azione perché “You will not be able to stay home, brother”, non riuscirà, volente o nolente, a restare a casa davanti alla televisione che non potrà mai fare da veicolo della rivoluzione.
Il 24 novembre 2012, Roma testimonia la protesta di migliaia di studenti che manifestano pacificamente contro un governo ingiusto e iniquo; la protesta verte intorno a temi che fanno del tentativo di privatizzare la scuola pubblica attraverso la riforma Gelmini, con conseguente depauperamento dell’offerta del sapere e del diritto allo studio, un privilegio per pochi ricchi e molto raccomandati.
Dieci giorni prima la stessa protesta vede come fatto mediatico principale scontri tra studenti e polizia con lanci di oggetti contundenti, lacrimogeni e bombe carta.
Questo rito si protrae sin dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso; contrasto tra giovani manifestanti in assetto da guerriglia urbana difensivo e polizia che presidia la piazza – confronto minaccioso ma ancora sotto controllo – e infine inevitabile e provocatoria carica della polizia in equipaggiamento antisommossa con scudi, manganelli, caschi e lacrimogeni innescati nei dispositivi pronti al lancio, allo scopo di creare disordine pubblico, per poi incolpare i giovani studenti di creare un “clima di terrore”, intervenendo successivamente nei media con la complicità di cronisti conniventi ben inseriti e ben pagati (leggi corrotti): in realtà “il clima di terrore” viene innescato in precedenza proprio dai funzionari di polizia con dichiarazioni – in questo caso quelle del questore di Roma – che “teme per la tenuta dell’ordine pubblico della città”, per creare insicurezza e paura diffusa.
Negli anni ’70 il rito prendeva una piega ancora più drammatica però, in quanto la mediatizzazione degli scontri era piuttosto difficile da rendere come cronaca televisiva, data l’assenza allora di Internet e di un giornalismo televisivo adesso ventiquattr’ore al giorno e sette giorni su sette.
Le cronache di conseguenza subìvano quindi una narrazione che virava verso una violenza ben al di là del mero scontro di piazza: si protraevano con agguati fatti dai celerini, bottiglie molotov e utilizzo di armi da fuoco da ambo gli schieramenti.
A quel tempo le immagini erano girate con telecamere piuttosto ingombranti e difficili da manovrare, i filmati presi da distanza di sicurezza a dunque in genere con il grandangolo e in bianco e nero.
Tutto il contrario di adesso: l’uso di videofonini, I-phones, telecamere piccole, leggere e manovrabilissime, macchine fotografiche e telecamerine digitali con fedeltà di immagini a colori al cento per cento, allargano conseguentemente il mestiere del cronista di eventi veramente alla portata di tutti.
Perciò, la drammaticità televisiva e giornalistica del secolo scorso era facilmente manipolabile in quanto creava o meno un sentire generale mediatizzato nella direzione più consona alle direttive governative e accessibile dalle masse solo nella sua parte finale, cioè quella in video – al contrario di adesso; e la gestione della violenza politica era la prerogativa di gruppi politici con aderenze al potere, in particolare rintracciabili all’interno de ministero degli Interni, con elementi che nei primi anni ’70 avrebbero lavorato assiduamente e in sintonia con l’estrema destra golpista, caldeggiando ed incoraggiando il ritorno al fascismo messo al bando e criminalizzato dalla Costituzione italiana dopo le sanguinose lotte di liberazione da tale regime.
Questi gruppi fuorilegge dell’estrema destra eversiva, che negli anni ’70 inizi anni ’80 (per citarne alcuni, Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo) hanno usufruito (e oggi usufruiscono) di massicci interventi economici riconducibili al patrimonio accumulato attraverso patti di ferro tra l’industria edilizia di Silvio Berlusconi e il crimine organizzato, sono quelli ora sostenuti e finanziati dagli stessi personaggi con pendenze penalmente rilevanti individuabili nell’arco costituzionale ed assisi negli scranni di Montecitorio.
Le cronache giornalistiche di quello che è successo nelle manifestazioni del novembre scorso, da quelle diventate scontri di piazza a quelle “pacifiche e di massa”, – per usare una fraseologia molto in voga nel secolo passato – descrivono come la spaccatura culturale tra i “genitori” degli anni ’70 e i/le “figli/figlie” del 2000, abbia comunque creato un’atmosfera di presa di coscienza tale, che una ripetizione delle istanze della lotta politica del secolo scorso siano state in tutti i casi le basi di quello che succede adesso, con modalità significativamente diverse però: una polemica tra un padre che denuncia una sorta di “addormentamento” delle sensibilità politiche e una consequenziale “sterilità” ideologica, contrappone la frase della figlia presente agli scontri di piazza il 14 novembre che dichiara: “già, ma voi avevate le pistole”.
Quello che si percepisce ora sembra essere una sorta di replica del movimento degli anni ’70, ma con le polarizzazioni invertite: dalla violenza all’intelligenza dell’ironia.
I movimenti che si collocavano all’interno della sinistra extraparlamentare 35 anni fa, e gli studenti che ne facevano parte, erano un agglomerato di creatività senza precedenti; tutti i luoghi pubblici dove si riunivano in assemblee i componenti del movimento - università, scuole superiori – erano un trionfo di colori, murales, slogan sui muri di un’ironia graffiante, sardonica, sarcastica, beffarda, irrisoria, canzonatoria, espressione di un’intelligenza viva e coinvolgente; un vero affratellamento di ceti sociali che comprendevano i figli della ricca borghesia e dell’imprenditoria schierati a sinistra, e i ceti medi e operai che vedevano il movimento come una risposta ai problemi di alienazione delle periferie urbane devastate dalla speculazione edilizia e dalla miseria.
La creatività liberatoria di un movimento che parlava alla parte giovane della politica che si riconosceva in quelle istanze di ribellione al sistema partitico arroccato nelle stanze del potere senza la benché minima possibilità di dialogo, spingeva la collettività alla protesta in modi che rendevano il movimento una fucina di idee e iniziative in fermento costante, con eventi culturali alla portata delle grandi masse popolari sensibili a queste forme di dissenso.
Il potere non poteva tollerare che una tale contestazione strutturalmente così articolata, sagace, acuta ed ironica prendesse piede; avrebbe inevitabilmente rovesciato tutti i suoi parametri repressivi combattuti con ripetuti cortei di protesta canzonatoria e pacifica; e dunque ritenne matura l’idea di tentare di disarticolare il tutto col metodo più classico degli infiltrati al servizio dello Stato, insieme a coloro che utilizzavano la gestione della violenza come ricatto alle forze politiche per perpetrare un sottile ma costante livello di auto-distruzione del movimento.
Tale metodo perciò, – con la parte creativa pacifica e di massa e dunque da reprimere attraverso l’isolamento prima e l’inserimento di agenti provocatori poi, per innescare il germe della violenza distruttiva e divisiva – fu l’arma letale che l’apparato statale mise in atto con atti di violenza inaudita, anche per vendette personali e conti in sospeso che lo Stato, sordo alle legittime richieste di giovani alienati da una politica incomprensibile, aveva con chi lo fronteggiava così coraggiosamente.
La frattura tra la parte “creativa” del movimento – i cosiddetti “Indiani Metropolitani” – e quella parte che lo spingeva fatalmente alla sua ”militarizzazione”, si andava delineando via via che le richieste erano sempre più consone alle esigenze dei manifestanti, e l’unica risposta dello Stato fu quella di ancor maggiore repressione negli scontri di piazza, con susseguenti metodi terroristici gestiti da elementi di estrema destra all’interno delle forze di Pubblica Sicurezza (un nome fra tutti: la “Legione Folgore”, quelli della “macelleria messicana” del G8 a Genova nel luglio del 2001), e da elementi infiltrati con azioni di disturbo negli armonici intenti rivoluzionari del movimento.
L’ “ala creativa” veniva soppressa e il movimento crollò sotto il peso della violenza espressa nel terrorismo armato studiato a tavolino dai servizi segreti deviati, dalla destra eversiva, e da gruppi del crimine organizzato sempre più numerosi e pervasivi nelle formazioni della sinistra extraparlamentare per disarticolare e creare conflitti.
Questo, nello specifico, succedeva tra il 1976 – 1979 e i primi mesi degli anni ’80.
Tutto cambia con l’avvento della Tv commerciale, cioè la messa all’asta da parte dello Stato di frequenze dell’audiovisivo e la conseguente privatizzazione dei canali televisivi in monopolio esclusivo dell’amministrazione governativa; nel XXI secolo la televisione ha reso un intero Paese, un Paese di teledipendenti dove “il mezzo è il messaggio”, indipendentemente dal contenuto veicolato.
lo stesso giorno, il 24 novembre 2012, manifesta l’estrema destra, i cosiddetti “fascisti del terzo millennio”.
I telegiornali ci informano che Casapound assicura il corteo sarà pacifico senza assalti a circoli o aggressioni a militanti di sinistra, ebrei, immigrati e extracomunitari; e nemmeno senza andare a massacrare di legnate o dare fuoco a indifesi senza tetto mentre dormono per strada andando a scovarli la notte nei recessi urbani più invisibili; non può essere escluso però che elementi eversivi di estrema destra all’interno delle forze di Pubblica Sicurezza che si occupano che tutto si svolga senza incidenti, approfittino del clima di totale omertà per perpetrare tali crimini usufruendo di manganelli e altre armi di offesa in nome “della legge e l’ordine pubblico”.
Paradossale: gli stessi elementi di Pubblica Sicurezza preposti all’ordine della piazza, sono gli stessi che in nome del silenzio “istituzionalizzato” estorto con minacce, intimidazioni, e violenze di ogni genere commettono crimini ignorati e passati sotto silenzio “governativo”.
In questo caso citare la Pagina 568 di “Mani Pulite” di Barbacetto, Gomez, Travaglio, si impone: ”Viene in mente il paradosso di Comma 22, il romanzo di Joseph Heller: il regolamento militare prescrive di esonerare dai voli di guerra soltanto i piloti pazzi; ma, in base al comma 22, chi chiede di essere esonerato dai voli di guerra non è pazzo; pazzo è chi non chiede l’esonero; ma, se uno lo chiede, non può essere pazzo; quindi è impossibile essere esonerati dai voli di guerra”.
Il motto di Casapound si riassume in: “Nel dubbio mena”: dunque i fascisti dubitano. Antitetici al credo nazi-fascista che “prima ti gonfio di legnate e poi (forse) ne parliamo”.
Finché tali individui avranno un loro ascolto in parlamento le cose non potranno cambiare molto; isolare ed individuare questo pericolo dovrebbe essere prioritario in un Paese a democrazia parlamentare, ma l’avvento del berlusconismo – con la necessità di andare a raccattare voti dei terroristi neri per insediarsi al governo – ha reso il lavoro ancora più pressante.
I “tempi televisivi” velocissimi del XXI secolo vedono perciò lo schermo televisivo protagonista: da The Revolution Will Not Be Televised di Scott-Heron degli anni ’70 del secolo passato, alla mediatizzazione pervasiva del terzo millennio, la sinistra deve lavorare affinché The Revolution Will Be Televised (“La rivoluzione sarà trasmessa in televisione”).
Marco Rossi.
No Comments