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E’ intuibile che da quando lo scontro politico italico si sia spettacolarizzato – le Tribune Politiche degli anni tra il 1960 e la fine del 1979, con la TV ancora in bianco e nero, dove fondamentalmente i segretari dei partiti esponevano i loro programmi di governo, opposizione etc, in un contesto non troppo dissimile dall’aula parlamentare (i vari segretari disposti in simil-scranni, un moderatore, e l’inquadratura un po troppo fissa e poco “descrittiva”) – questi dibattiti siano considerati ormai preistorici in termini di linguaggio televisivo.
Laddove i politici in quegli anni apparivano un tantinello rigidi e impettiti, adesso l’emotività mostrata, vissuta, è assolutamente di rigore; l’insulto necessario; l’aggressività verbale costante ed incoraggiata; le espressioni facciali scrutate millimetro per millimetro dalla telecamera per catturare le emozioni, meglio se negative. E’ immaginabile quindi che le segreterie dei partiti abbiano il settore che si occupa dell’interazione con i media costantemente sottoposto ad un superlavoro di proporzioni impensabili.
Nello specifico, coloro che hanno un continuo flusso di informazioni da esaminare attentamente, sono chiamati a confrontarsi con una realtà che viene sempre manipolata e distorta a seconda delle direttive dei maggiorenti delle segreterie politiche.
I più ricercati, coccolati, stipendiati a peso d’oro (leggi comprati), sono quelli che nel suddetto settore si occupano ventiquattrore su ventiquattro di mentire: mentire alla popolazione tutta; a sé stessi; alla propria moglie (quando non totalmente complice); ai propri figli. Anzi, si occupano ancora più precisamente di smentire la non-verità. Ovvero: smentendo la verità la si rende menzogna; ma partendo con la menzogna “preconfezionata”, non si fa un’operazione di negazione affermando la propria verità da smentire – secondo l’assioma “due negativi producono un positivo” – ma si afferma una non-verità, cioè si demolisce la sua credibilità a priori.
Come vivano costoro, in una costante realtà completamente distaccata da quella che li circonda, è un mistero a conoscenza solo agli adepti del dominio mediatico; certo è che si ingegnano tutti i giorni di fare della propria schizofrenia, del loro disturbo mentale, il proprio modo di vivere e lavorare noncuranti di come siano considerati dalla maggioranza della popolazione che si nutre di tali menzogne per tentare di capire quello che succede. Tentativo vano.
Uno scandalo politico-istituzionale (ormai quasi giornaliero) poniamo, irrompe nel circo mediatico, e viene considerato e descritto subito come uno scandalo di “proporzioni gravissime”; si alza immediatamente la temperatura mediatica a livelli febbrili, per spaventare e terrorizzare.
E a fronte della consueta esibizione berlusconiana di ruberie, guerra per bande, dossier compromettenti, delegittimazioni, calunnie, insulti, offese personali (generalmente – come detto più volte – si dubita della sua virilità se il bersaglio da distruggere è uomo, oppure della sua illibatezza se donna), e via elencando tali carinerie, gli “smentitori” di professione intervengono immediatamente a mezzo stampa e TV per riverginare, arginare, creando il teatrino mediatico con le battute dei personaggi che si esprimono con il frasario di circostanza: “Non sapevo nulla”, “Sono vittima del sistema”, “Non c’ero”, “Ero alla buvette a mangiarmi un tramezzino”, “Schizzi di fango”, “Deliri della mia parte avversa”, “Fango sulle istituzioni”, “Incostituzionale”, ”Frasi indecenti”, “Chi ha detto o scritto ciò ha bisogno di cure psichiatriche”, “Morfologicamente incapaci di intendere e di volere”, “Inetti”, “Poveri di spirito”, “Disturbati mentalmente”, “Deviati sessualmente”, e perfino “Coprofagi”. Più propriamente se beccati con il sorcio in bocca, ecco subito i più gettonati atti di contrizione in assoluto: “Riflessione”, “Momento difficile”, “Cambiamo tutto [per non cambiare niente]“, “Stiamo meditando”, “La democrazia è in pericolo”; e il top assoluto: “La colpa di questo dissesto politico va cercata nella precedente coalizione”.
Un termine linguistico totalmente assente è: “Chiediamo scusa per aver tradito la fiducia dei cittadini che ci hanno votato”.
Mentre invece l’accusa di appartenenza alla criminalità organizzata è un “complimento” ed una strada sicura verso il successo politico-istituzionale. Il flusso quindi tra le segreterie e i loro addetti stampa è continuo. Si basa su questa conoscenza e messa in atto della smentita a prescindere, tanto prima o poi l’avvertimento di un ”agguato mediatico”, o la minaccia della trappola del “fuoco amico” verrà utilizzata; corollario questo di patti di non belligeranza e ricatti per propagandare le proprie “dichiarazioni programmatiche” e sostenere il proprio lavoro politico.
Il lavoro perciò di questi falsi delatori è quello di propugnare, incoraggiare di mentire sapendo di mentire, prepararsi alla menzogna e alla sua paradossale smentita in un conteso di totale illogicità anche verbale; quello che era fino a pochi secondi fa preso per buono non lo è più, quello che veniva evitato come la peste viene immediatamente osannato, coperto di elogi dove un secondo prima era fonte di totale disprezzo.
Una parte preponderante in questo teatrino mediatico è quella assegnata ad una consistente fetta di sicofanti che gravitano su un tale palcoscenico: quella delle spie.
Il 16 agosto 2012 sul sito della Repubblica appare una notizia apparentemente marginale dal titolo: Guardare attraverso le pareti, il tentativo del Mit.
“Vedere attraverso i muri è da sempre uno dei sogni degli esseri umani. Nell’ottobre 2011, mesi prima che venisse messo a punto il dispositivo wifi della University College London, gli scienziati del Lincoln Laboratory del Massachussetts Institute of Technology hanno inventato un sistema capace di fornire in tempo reale un flusso video di quello che avviene dietro una parete spessa circa 20 cm. Ma non sono pochi gli inconvenienti. Il dispositivo è ingombrante: richiede infatti molte antenne e amplificatori di segnale perché le onde radio riflesse perdono il 99% della loro intensità. Anche la qualità dell’immagine è molto bassa…”
Secondo una legge non scritta e statisticamente provata, se si abita in un palazzo è parecchio probabile che i vicini di casa dell’appartamento del pianerottolo accanto al vostro vi spiino.
Nei palazzi italioti vecchi di più di 60-70 anni poi, le pareti che delimitano il confine degli appartamenti sono ridicolmente spesse anche meno di 20 centimetri, il che rende il potenziale macchinario del Mit quasi inutile.
Ma visto che si parla di un macchinario costruito negli Stati Uniti, per chi ha risieduto negli USA per degli anni il concetto di vicinato ha una forma differente da quello Europeo.
Qualsiasi individuo che risiede anche temporaneamente negli Stati Unti, è quasi immediatamente proiettato in un contesto che in Italia ha del fantascientifico: una delle prime cose che ti capitano appena ti insedi in un quartiere Americano è quella dell’inevitabile visita del vicini.
In Italia – se non abiti in un palazzo dove il pianerottolo con l’appartamento accanto al tuo è anch’esso di tua proprietà e in genere occupato da parenti – potresti passare il resto della tua vita ad evitare d’incontrare i tuoi vicini con “acrobazie di scala condominiale” degne di un film giallo, utilizzando strategie e tattiche sofisticatissime.
In America, un Paese dove sovente i precetti Biblici sono rispettati alla lettera e dove il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso” ha un suo riscontro nel vivere quotidiano, i vicini mettono in pratica , piaccia o no, il get to know you policy, la politica del conoscerti, che tu sia Americano oppure no; un modo questo per spiarti e trarre le proprie conclusioni; ma viene fatto alla luce del sole.
Ciò ovviamente appartiene a quel tipo di insediamento urbano tipicamente del ceto medio con le villette a schiera, il giardino curato, il garage con la macchina parcheggiata nel vialetto e il cortile dietro, dove si fanno grigliate spesso a base di hamburger, hot dog e birra.
Al contrario in Italia, qualsiasi nuovo condomino che si insedia in un palazzo, e rompe un equilibrio di parentele e conoscenze magari decennale, ventennale o cinquantennale, viene guardato subito con sospetto e diffidenza.
Ci si può ignorare per mesi, anni, scambiare magari un formale “buongiorno, buonasera” quando proprio non si può fare a meno di evitarsi ma ci si ferma lì.
Scrive Bruno Tinti magistrato e giornalista del Fatto Quotidiano il 18 agosto 2012, a proposito di come il modello anglosassone che si occupa di evasione fiscale, incida così profondamente nel tessuto giuridico rispettato dai cittadini onesti da fare sembrare la realtà Italiana paradossalmente ancorata a quella Americana del Far West; totale disprezzo per le norme consolidate e assoluta sottomissione allo sceriffo armato che dispensa legge e ordine anche in senso figurato.
Tinti: ”(…) Un professionista che inquisivo per evasione fiscale e che aveva tentato di corrompere i marescialli della GdF che indagavano su di lui, mi disse, dopo che lo avevo arrestato (per tentata corruzione, per carità, non per frode fiscale; quella, per via della legge italiana non sussisteva: si trattava di semplice dichiarazione infedele). ‘Sa perché l’ho fatto? Perché ho lavorato a lungo negli Stati Uniti e lì, a parte la prigione, l’evasione fiscale ti fa perdere di status sociale: tua moglie non viene più invitata alle gare di torta di frutta con le altre mamme del vicinato; e nessuno viene più ai tuoi barbecue del sabato pomeriggio; e, dopo un po’, anche i clienti ti abbandonano. Ero terrorizzato’. Cultura civica, senso dello Stato”.
Ostracizzare un disonesto dai vicini in America sottolinea come l’essere additato come un mentitore, uno del quale non ci si può fidare sia un fatto grave; in Italia si è orgogliosamente truffatori dopo il quasi ventennio berlusconiano con i suoi lacchè che prendevano per oro colato il precetto di evasione fiscale dell’ex-premier che “Oltre il 35 % di aliquota, l’evasione è legittima difesa” e lo diffondevano attraverso la potente macchina mediatica di Mediaset, e i vicini dell’appartamento accanto al tuo che sanno tutto, che ti spiano, stanno zitti; poterebbero anche loro incappare in una visita della Guardia di Finanza, dunque, omertà.
Ancora Tinti: (…) “Il mio ex collega Davigo mi ha raccontato, tra il riso e il pianto, la sua esperienza Americana. Visita al carcere di Pasadena. Il direttore gli spiega che lì sono detenuti i colletti bianchi e in particolare gli evasori fiscali. Davigo si sente un pezzente (in Italia, come ho detto, non si usa) e chiede con un filo di voce: ‘Perché, voi gli evasori fiscali li mettete in prigione?’. E il Direttore: ‘Certo. Hanno mentito al popolo Americano’. Lascio alla vostra fantasia immaginare la reazione di un qualsiasi nostro concittadino se gli si spiegasse che è giusto arrestare gli evasori fiscali perché hanno mentito al popolo Italiano”.
Immediatamente i demolitori di certezze, gli smentitori di professione, interverrebbero con accuse di giustizialismo dei magistrati comunisti urlando in nome del garantismo e dell’impunità certificata da anni di leggi ad personam berlusconiane.
E i vicini dell’appartamento del pianerottolo accanto al tuo che ti spiano, che sanno tutto di te, stanno zitti. Omertà. In Italia.
Marco Rossi
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