LETTERA APERTA AL SINDACO, AL POLITICO E ALL’UOMO.
Caro Sindaco,
si narra che Proculo indicesse delle riunioni artistiche in nome del saggio imperatore Adriano sulle rive di una sorgente dedicata al dio Pan; si narra che i poeti facessero a gara nel declamare la limpidezza dei loro versi in competizione con la purezza dell’acqua della fonte posta in un’anfora di argilla porosa.
Facile viene la similitudine con la politica, che dovrebbe essere pura e trasparente come l’acqua di una fonte di fronte alle parole, ma soprattutto ai fatti, della veneranda Casta dei politici.
A specchio di ciò sono due anni che mi disinteresso completamente di politica ma, in una giornata assolata di ottobre, mi capita di ascoltare su RAI NEWS un tale, un mio conterraneo, che sembra un comico della politica, un maestro della satira, poi mi accorgo che è una cosa nuova: è un politico comico, cioè un soggetto che, usando anche la comicità, ci racconta con chiarezza la situazione dell’Italia che comica non’è.
Tra una citazione di un tale, a me sconosciuto e dal nome buffo: Scillipoti, mi accorgo che, rispetto alla Casta, nel suo argomentare e nel porsi agli altri, egli ha tutte le qualità che non dovrebbe avere un politico, come la sincerità, l’obiettività e la chiarezza e sempre rispetto alla liturgica Casta, ha dei difetti che dovrebbe avere un politico, che è ridondante enumerare.
Questo tale continua a stupirmi, quando si inerpica su un discorso che appartiene all’altro secolo: il primato della cultura del Belpaese.
Sono un nostalgico e accanito ascoltatore di Rai Storia, adoro i vecchi sceneggiati Rai e i vecchi documentari in prima serata dei grandi del nostro giornalismo, quando andavano a giro per un mondo, preda della Cortina di Ferro, a fare difficili interviste in luoghi lontani anni luce da noi e simili ad un romanzo di Orwell.
La Rai di allora offriva cultura a piene mani a differenza di oggi dove gli unici argomenti sono: la gelida Tirannia dei Numeri (il denaro), la vacuità e la volgarità del jet set e le performance amorose di un Cavaliere di nome ma non di fatto.
Uno tra le più grandi menzogne di questo secolo è convincere le masse che bisogna lavorare di più per guadagnare di più e non attardarsi a nutrire il cervello; dov’è l’inganno? In realtà si guadagna di più ma si è più poveri perché la finanza mondiale sta ingoiando il mondo ma per fare soldi servono le idee; il lavoro, forse, ti fa solo sopravvivere e non ti rende libero.
Una volta si diceva che il fine giustifica i mezzi, oggi sembra essere il contrario, in un mondo dove il denaro è un fine e non un mezzo, i mezzi giustificano il fine.
Ammettiamo che il denaro sia l’unica cosa che conta portiamo un esempio: l’auto di lusso del Cavallino Rampante è un risultato del lavoro alla cieca o delle idee? Una Ferrari è figlia di un’idea nella tecnica e nello stile o di un ottuso cultore del lavoro non avvezzo ad usare il cervello? Una Ferrari è figlia anche di Dante o di Ovidio.
Gli italiani possiedono oltre il 90% dei beni culturali di tutto il mondo eppure sulle TV troviamo o programmi importati da oltre oceano, tutti uguali, oppure troviamo alienati che gridano atoni in reality per la folle danza del nulla.
Ma torniamo al tale che parlava a Rai News in un luogo che aveva un nome strampalato: la Leopolda, le chiederei, gentile Sindaco di Firenze, se per caso lo conosce; perché se lo conoscesse vorrei dargli il voto, pur sapendo, se egli avrà intenzione di usare la coscienza e non gli alambicchi della Casta, che avere un voto per far davvero qualcosa è un’opportunità e allo stesso tempo una condanna.
David Parrini
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