9 GIUGNO 2011, SALA ANDREA PININFARINA – CONFINDUSTRIA

ROMA

 

INTRODUZIONE

 

Gli effetti duraturi della crisi sulla mappa manifatturiera globale. Il ruolo vitale dell’industria. L’incertezza da materie prime. Le nuove strategie delle imprese italiane di successo

La recessione acuta e la ripresa differenziata hanno lasciato segni profondi nella mappa planetaria dell’industria manifatturiera.

Siamo in presenza di una svolta storica, preparata e anticipata dalle tendenze del decennio precedente,che sono state descritte in Scenari industriali di giugno 2010. Le secche variazioni nelle quote della produzione globale la testimoniano.

Tra il 2007 e il 2010 i paesi emergenti asiatici hanno conquistato 8,9 punti percentuali e sono saliti al29,7% sul valore della produzione industriale mondiale. La sola Cina è al 21,7% (+7,6 punti) ed è ora saldamente prima. L’India ha guadagnato quattro posizioni nella graduatoria dei primi venti produttori globali ed è quinta; simili progressi sono stati ottenuti da altre economie dell’area, verso la quale si è spostato il baricentro della manifattura mondiale. Con l’unica eccezione del Giappone, tutti i paesi di più antica industrializzazione hanno registrato importanti arretramenti. Particolarmente in difficoltà appare l’Europa.

L’Italia è scesa dal 4,5% al 3,4%, dal 5° al 7° posto nel Mondo; resta seconda in Europa dietro la Germania.Il Paese rimane ad alta vocazione industriale, ma spicca per la flessione dell’attività registrata nell’ultimo triennio (-17,0% cumulato), doppia o tripla di quelle dei maggiori concorrenti (peggio ha fatto solo la Spagna).

Non pare esserci piena coscienza nel Paese del ruolo cruciale giocato dalle attività manifatturiere nel generare reddito e occupazione, nell’essere il principale motore della crescita dell’intera economia. Ruolo che va ben al di là del suo peso diretto sul valore aggiunto totale. Da lì originano i guadagni di produttività di tutto il sistema, grazie alle innovazioni incorporate nei beni utilizzati dagli altri settori. Lì si creano posti di lavoro qualificati e meglio remunerati. Lì si effettua la maggior parte della ricerca. Da lì proviene il 78% degli incassi ottenuti dalle esportazioni che servono a finanziare le importazioni di beni e servizi. Simulazioni del CSC illustrano come al manifatturiero siano legati direttamente e indirettamente più di un terzo del PIL e 8,2 milioni di unità di lavoro e come, senza il suo contributo determinante agli scambi con l’estero, il sistema economico italiano imploderebbe.

Il confronto europeo conferma che là dove l’industria (al netto dell’edilizia) va meglio il reddito cresce più rapidamente. E che ci sono territori molto più vocati al manifatturiero delle province italiane in cui l’industrializzazione è pure massima.

 

Di Gabriella Gherardi

 

La politica delle filiere e delle reti su cui Confindustria molto si è spesa  in  questi ultimi  anni ed in particolare ben sviluppata dal suo prestigioso Centro Studi nel recente rapporto afferente la crisi nel settore  manifatturiero e le strategie di sviluppo di imprese,  è stato oggetto di dibattito nel recente convegno  tenutosi lo scorso 9 giugno presso la sede di Confindustria.  

L’incontro ha illustrato con grande ricchezza di argomenti le politiche attraverso le quali il mondo manifatturiero  italiano  può allo stato attuale uscire dalla crisi.

E’ noto a tutti che l’industria manifatturiera è quella che ha risentito maggiormente della grande debacle  ed è anche noto che la stessa rappresenta  circa un terzo di tutto il Pil Nazionale con circa 8 milioni di occupati. Da ciò è facile dedurre che  se non ci fosse probabilmente questo importante pilastro,  crollerebbe  il sistema Italia nonché il suo comparto economico in toto. Tra l’altro è anche utile ricordare che il manifatturiero italiano è secondo solo a quello tedesco come volume, ma per alcuni settori è addirittura primo come tecnologia. Quindi possiamo asserire con certezza che trattasi del  cuore dell’industria italiana e dell’economia italiana.

Per questi settori si sono immaginate molte soluzioni. Ne seleziono tre per illustrarne la filosofia che integra una visione di come si possa uscire in questo settore importantissimo dalla crisi.

La prima soluzione che questo settore ha individuato è la diversificazione.

Ora come avvertono i relatori dell’incontro, in primis  il banchiere Corrado Passera,  la diversificazione quella buona e sana è quella correlata  al core business.

Invece la diversificazione tout court ovvero in settori distanti è molto rischiosa perché o effettivamente  si ha da duplicare il know- how in  due aziende diverse ma se si ritiene come molti industriali ritengono di fare economie di scala  organizzative usando nell’indifferenziato risorse umane che stanno di qua e di là si rischia  di fare dei prodotti dog come dicono gli americani ovvero che non hanno il necessario approfondimento specialistico. Quindi il consiglio è che se si vuole arrivare alla diversificazione deve essere  una diversificazione  correlata.

Secondo principio che si può desumere dal convegno e ha rappresentato il cardine del l’intervento della Presidente Marcegaglia è quello concernente l’innovazione tecnologica. Fermo restando che con questo termine non si pensi ad un miracoloso signor  Bill Gate che  si inventa  di getto l’intero programma office di Microsoft.  Certo che non è da escludere che esistano aziende di tal fatta ma sono casi rari anzi unici.

Invece l’innovazione tecnologica pervasiva è quella che si realizza nella prassi, nella sperimentazione delle lavorazioni e in tal senso assume la figura di segmenti di processo. Questi, sono elementi  innovativi geniali che abbreviano  un processo rendono più agile una procedura e rendono più facile pervenire a una soluzione di un problema.

Con una parola sola.. innovazione pervasiva.

In ogni azienda anche la più piccola, la meno provveduta di strumenti tecnologici, sicuramente anche qui possiamo ravvisare  dei punti creativi che meritano  di essere brevettati con dei brevetti, moduli di ottimizzo, ovvero brevetti limitati a determinate innovazioni.

Queste innovazioni pervasiva va perseguita, come sottolinea nel suo intervento la Presidente Marcegaglia, perché valorizza l’azienda e inoltre è atta a tirare su il mercato dei beni immateriali e ed questo  un terzo elemento che attualmente in Italia non esiste.

A proposito, cosa si sottintende con  mercato dei bene immateriali ?

I brevetti, le innovazioni, le lavorazioni particolari ecc. quello che fa parte dell’innovazione  pervasiva oltre quella che fa parte dell’innovazione in senso lato conclamata.

Tutto questo ambito costituisce il mercato dei beni immateriali, che in quanto mercato implica una negoziazione quindi la possibilità di una traslazione a titolo oneroso da un’azienda all’altra,  con un conseguente  movimento di  valori. Si muove il mercato.

Ma al di là dell’aspetto mercantile, vi è l’ aspetto patrimoniale dei beni immateriali, patrimonio che specialmente nella piccola impresa italiana difetta. Con l’inserimento  di beni immateriali si può aumentare il patrimonio.

Perche il brevetto ha un suo valore,  viene calcolato, valutato  e messo bilancio come patrimonio immobiliare. Attuare tutta questa linea attualmente quasi del tutto disattesa specialmente nella piccola e media impresa significa attivare il mercato dei beni immobiliari quindi la sua fungibilità ovvero un mercato a titolo oneroso e conseguentemente  agire nella direzione di  rimpolpare  il patrimonio aziendale nei bilanci.

Cioè quando si parla di innovazione bisogna pensare che questa innovazione pervasiva  deve avere una sua portabilità, portable, deve girare e essere insediata nei bilanci, deve trovare sede sia commerciale che patrimoniale. Perché altrimenti questa innovazione tecnologica rimane un pezzo per aria.

L’ultimo di questi elementi è un discorso organizzativo.

L’organizzazione delle aziende e delle categorie associative di solito è autoreferente di fronte a se stessa. Il concetto di filiere invece immette sia la singola azienda sia le categorie nel loro assieme in un campo di forze che segue lo sviluppo industriale commerciale di quel tipo di lavorazione. Ora il manifatturiero in particolare, è uno di quei settori dell’economia che più può giovarsi del discorso delle filiere perché il manifatturiero è un antecedente. Per arrivare al mercato, all’utente, al destino finale deve passare attraverso tutta una serie di operatori che sono combinati e correlati. Allora questa correlazione dovrebbe essere meglio esaminata e ad essa dovrebbero  essere dati dei corpi organizzativi perché altrimenti non si capisce come questa correlazione  si possa concretizzare.

Facciamo l’esempio delle organizzazioni a filiera o a reti di Confindustria.

Il discorso delle reti è più chiaro perche la rete è una somma le cui convenienze interne saranno viste di volta in volta. La filiera è cosa più legata alla tipologia delle lavorazioni, quindi la filiera  ha un contenuto tecnico in primo luogo e solo in secondo luogo commerciale. Mentre invece la rete può essere anche e solo commerciale non è detto che sia anche tecnologica e di lavorazione.

Allora che succede. A livello centrale se ne rivendica la validità, quando poi si va ad esempio  da parte di Finco (Finco è un’associazione di secondo grado  della Confindustria che associa non imprese ma categorie) di cui sono Vicepresidente e Consigliere Delegato all’Organizzazione.

Infatti noi abbiamo in Finco delle categorie che fanno parte di Confindustria e sono quelle relative alle costruzioni e alle infrastrutture  e quelle per tipologia di lavorazione.  Esse stanno nel perimetro di Finco, ma all’interno di Finco da diversi anni il lavoro a filiera fa si che  le proprie categorie si incontrino e si combinino con categorie che sono collaterali al lavoro di filiera in via stabile. Ad es. la filiera strade ha come socio aggregato l’Automobile Club, che non è una rappresentanza di un’industriali ma è collaterale in via stabile al lavoro della sicurezza stradale cui contribuiscono altri soggetti ancora quali i rappresentanti delle barriere, delle dotazioni di sicurezza. E così altre realtà.

Poi ci sono delle categorie  e delle imprese che sono collaterali in via non stabile per determinate   lavorazioni  e anche per queste indipendentemente dalla loro altra associazione  ad altri settori della Confindustria o di altre associazioni si dovrebbero iscrivere come soci aggregati alla Finco per tutto il periodo che hanno a che fare con la filiera.

Inoltre il lavoro di filiera comporta che vengano declinate anche a livello locale. In questo caso noi abbiamo bisogno delle confindustrie  territoriali che diventino il terminale attraverso cui si riesca a rendere operativi tutti questi concetti per aiutare le imprese nelle loro attività.

Questo è il processo descritto di un lavoro a filiera.

Quali sono i strumenti attraverso i quali si concreta il rapporto tra tutte queste categorie e/o imprese?

Sono i protocolli di impresa, i progetti in comune, gli accordi quadro tra categorie, ovvero tutte quelle forme di associazione  e messa in comune di know-how  e di organizzazione che rendono possibile la realizzazione della mission della filiera. Attraverso tutte queste forme si riesce a dare vita dal centro alla periferia a tutto il giuoco che è un giuoco complesso di filiera.

Per concludere, di modo che questo discorso non appaia astruso, in questa visione ho toccato quattro punti che non sono gerarchizzati, puntualizzo.

Una diversificazione correlata ad una innovazione pervasiva all’interno dei processi, all’attivazione di un patrimonio  di un mercato per i beni immateriali e alla adozione dei moduli organizzativi a filiere e reti evolutivi cioè che seguono lo stato dell’arte, il percorso come direbbe Leibniz che segue le vene del marmo.

 

 

 

Simonetta Alfaro

 

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