DENUNCE, INCHIESTE E MOLTO ALTRO ANCORA PER UN GIORNALISMO SEMPRE PIU’ SPECCHIO DEI NOSTRI TEMPI.
Cinque giorni di incontri e dibattiti a Perugia, per modi diversi di fare giornalismo, scritto, parlato, con interviste video, inchieste, nei luoghi “pacifici” e nei luoghi di guerra, ove molti cronisti pgano con la vita perchè toccano fili scoperti della politica, della mafia, dell’economia e disturbano gruppi di potere disseminati nel nostro Pianeta. Smascherarli, molte volte spinge i più coraggiosi a toccare l’alta tensione. Difficilmente si esce vivi da questo impegno troppo spesso dimenticato, come nei casi di Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Giancarlo Siani e Maria Grazia Cutuli.
In questo contesto mondiale però un riconoscimento davvero illuminante è stato dato a quattro giornalisti italiani da oggi nella lista del Journalist Memorial del Newseum di Washington. Sono Cosimo Cristina, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato e Mauro Rostagno. Tutti cronisti che hanno perso la vita in Sicilia, uccisi dalla mafia per aver svolto il loro lavoro di denuncia e informazione sui crimini, i delitti e le collusioni delle cosche.
Non è una lista completa, quella di Arlington, ma è “democratica”. Nel senso che ci sono nomi sconosciuti e storici come Robert Capa, 1954. Il fotoreporter forse più famoso del ’900, cinque guerre in 18 anni: sue le uniche, vere immagini dello sbarco in Normandia. A 41 anni andò in Giappone per una mostra, la nota rivista Life lo chiamò: “Già che ci sei, coprici il fronte in Indocina”. Qui trovò la morte, saltò su una mina vicino ad Hanoi. Uno dei tanti giornalisti massacrati in guerra.
Quando muore un giornalista, poco importa da dove proviene e che cittadinanza abbia, poiché siamo tutti ospiti di questa Terra, come dicevano gli indiani d’America, può essere un fotografo o un fonico, un operatore o un producer è sempre qualcuno che offre la propria vita per dire la verità, che altrimenti verrebbe nascosta, filtrata o addirittura distorta.
Il filo rosso che ha legato i quattro giornalisti, è stata la loro passione civile e l’amore per il proprio mestiere, ma soprattutto la ricerca della verità, questo li ha uniti in un destino comune: la morte prima, ed ora questo importante riconoscimento. I loro nomi, nella lista alla memoria dei giornalisti del museo di Washington insieme a quelli di altri 59 cronisti uccisi in vari paesi nel 2010 mentre svolgevano il loro lavoro di informatori dell’opinione pubblica.
Il un muro trasparente ad Arlington, Virginia sopra Freedom Park’ alto sette metri non finisce mai perché ogni anno, ai primi di maggio, ne viene aggiunto un pezzo. Il Journalist Memorial del Newseum, inaugurato nel 2008, somma attualmente 2084 nomi di martiri dell’informazione. Ogni pannello ha un nome, un luogo, una data. Il primo della lista: James M. Lingan, 62 anni, americano, ucciso a Baltimora nel 1812. Lavorava al Federalist , dava fastidio ai politici del tempo.
Non solo, in aggiunta ai quattro giornalisti italiani sono stati impressi nella lista anche 14 giornalisti che hanno perso la vita per ragioni legate al loro lavoro negli anni scorsi. Il prossimo 16 maggio i nomi saranno incisi sui pannelli di vetro verticali che costituiscono la struttura a due piani che li contiene. Vicino al monumento campeggiano le fotografie di centinaia di giornalisti, e chioschi elettronici contenenti dati su ogni personaggio.
L’aggiornamento della lista che includerà i nomi di Cristina, Spampinato, Impastato e Rostagno avverrà in una cerimonia ufficiale al Newseum.
Chicca Roveri, compagna per 17 anni di Rostagno, ha accolto con piacere la notizia dell’iscrizione di Rostagno nella prestigiosa lista e proprio in questi giorni mentre veniva ascoltata in aula per il processo per l’omicidio del suo compagno, in corso a Trapani ad oltre 22 anni dal delitto, la Roveri ha parlato del lavoro di giornalista di Mauro, delle sue denunce contro la mafia, la droga, il malaffare: “Un giorno esordì in un editoriale in questo modo – ha ricordato – qualche mio caro amico mi ha consigliato di abbassare i toni perché questo lavoro rischia di fare male alla Sicilia e alla comunità, io continuo a pensare e a dire che la migliore pubblicità che si può fare alla Sicilia è quella di affermare che la mafia va abbattuta”.
L’immagine dell’immigrazione nei media italiani appiattita sulla dimensione dell’emergenza e della sicurezza è statica e visibilmente immutabile,. La “Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani”, condotta dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza in collaborazione con il Centro d’ascolto dell’informazione radio-televisiva, costituisce il primo step dell’attività dell’Osservatorio Carta di Roma. Uno studio rileva che, su 5684 servizi di telegiornale andati in onda nel periodo di rilevazione, sono stato solo 26 i servizi che hanno affrontato l’immigrazione senza contemporaneamente legarla ad un fatto di cronaca o al tema della sicurezza.
Un altro istituto di monitoraggio, l’Osservatorio di Pavia, partecipa a una ricerca europea sulle paure percepite dagli europei, a partire da un’accurata analisi delle modalità e dell’intensità con le quali essa viene proposta e rappresentata dai mezzi di informazione.
Tutto questo nella consapevolezza che viviamo in società, soprattutto in Europa, sempre più spaventate, timorose e perciò preoccupate di una realtà in rapido cambiamento, ma nelle quali la “paura” è “alimentata e utilizzata” per influenzare e condizionare gli orientamenti dei cittadini, le loro scelte anche politiche.
Per meglio comprendere il fenomeno diventa decisivo monitorare l’informazione dei principali canali televisivi e radiofonici, per individuare eventuali devianze rispetto alle previsioni dei codici deontologici, e intervenire nei luoghi in cui si forma l’immaginario collettivo, per impedire che questo si fondi su pregiudizi o immagini stereotipate, con i comportamenti correlati che ne possono conseguire.
L’Associazione Ilaria Alpi organizza per le scuole proiezioni di docufilm e incontri con gli autori. Il tema di quest’anno è “Manipolare, denunciare, disinformare. 3 verbi per il giornalismo”.
Il documentario Il giorno in cui la notte scese due volte, inedito per la tv, di Lisa Tormena e Matteo Lolletti, affronta la vicenda che ha visto protagonista Alberto Mercuriali, il ventottenne che si tolse la vita, nel luglio del 2007, dopo la comparsa sui giornali della notizia del suo fermo, operato dai Carabinieri, per possesso di droghe leggere, in seguito alla quale un’intera comunità ha messo in discussione le Forze dell’Ordine e giornalisti.
Si indagano così i meccanismi che stanno alla base del lavoro della carta stampata, soprattutto locale, e delle forze dell’Ordine, i loro rapporti, e di come abbiamo inciso sul tragico gesto. Attraverso le parole del Presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, degli amici di Alberto, dei giornalisti coinvolti, accompagnate dal racconto in prima persona di Lisa Tormenta, che ai tempi scrisse uno degli articoli in questione, si invita ad una riflessione su legalità, libertà di stampa, codice deontologico, diritti individuali e società civile, in un viaggio che cerca di ricostruire la vicenda nel suo reale sgomento.
Da 50 anni, Amnesty International svolge azioni in difesa dei diritti umani, grazie al supporto dei suoi tre milioni di sostenitori ed all’impegno di coloro che operano nel mondo della comunicazione, denunciando violazioni, raccogliendo testimonianze e raccontando la speranza di un cambiamento. Ognuno di questi ha però un suo linguaggio, un suo modo di rappresentare quello che vede e che sente, sia per sensibilità propria sia – e soprattutto – in base allo strumento di comunicazione impiegato. Queste sfaccettature e prospettive diverse ci aiutano ancora di più a capire quanto c’è bisogno di chiedere, nel mondo, rispetto dei diritti umani. E, per poterlo chiedere, prima di tutto farlo conoscere
Il Messico è oggi, insieme a Honduras e Pakistan, il paese più pericoloso al mondo per i giornalisti. Nel 2010 ne sono stati uccisi 14, 68 negli ultimi 10 anni. Nel Paese – dilaniato da una guerra senza precedenti tra i cartelli del narcotraffico – minacce, aggressioni, sequestri, intimidazioni contro gli operatori dell’informazione sono all’ordine del giorno. Chi osa scrivere di narcotraffico, chi ne indaga i legami con la politica e le istituzioni, chi denuncia la corruzione e l’impunità dilaganti, lo fa a rischio della propria vita.
Insieme a Cynthia Rodríguez, Malcolm Beith e Gennaro Carotenuto, ce ne parla Anabel Hernández, giornalista messicana autrice del libro “Los Señores del Narco”, testo che fa luce sulle complicità tra narcotrafficanti e banchieri, imprenditori, funzionari pubblici, poliziotti e militari. Minacciata di morte, a fine 2010 Anabel con una lettera aperta ha fatto sapere di essere venuta a conoscenza di un piano – attribuito a organi dello Stato – per assassinarla.
Trasmigrazioni Un viaggio di migliaia di chilometri sulla pista transahariana per la Libia, percorso obbligato per chi tenta di arrivare in Europa via Lampedusa.
Ogni mese circa 10000 i migranti attraversano il Ténéré Nigerino diretti in Libia con la speranza di raggiungere l’Europa. Arrivano dall’Africa occidentale spesso con mezzi di fortuna e compiono questo ultimo tratto partendo da Agadez, l’antica città carovaniera ai margini del deserto. Durante il viaggio si fermano nei villaggi per lavorare e guadagnare il necessario per raggiungere Dirkou, ultima oasi Nigerina prima della Libia. Molti riusciranno ad andarsene, ma quelli rimasti senza denaro rimarranno “stranded”, intrappolati per molto tempo. Le statistiche dicono che il 12% dei migranti muoia durante il viaggio, ma si suppone che siano molti di più.
È stato morto un ragazzo. Federico Aldrovandi che una notte incontrò la polizia di Filippo Vendemmiati, al momento inedito per la tv, racconta la storia di Federico Aldrovandi. I fatti accertati e i misteri che li avvolgono, il processo e i numerosi colpi di scena nel tentativo di fornire una spiegazione plausibile dell’accaduto proprio a partire dagli interrogativi rimasti sospesi. La narrazione è arricchita da materiali inediti forniti dalla famiglia e dai suoi legali dagli atti processuali e dai filmati Rai provenienti dai telegiornali e dell’archivio giornalistico dell’autore.
Scrivere di corruzione e abusi o denunciare ingiustizie, fare inchieste scomode può costare molto caro in Russia. I giornalisti dell’ex URSS lo sanno molto bene, che rischiano la vita tutti i giorni per fare il loro mestiere. Un rischio che cronisti, direttori di giornali e inviati affrontano quasi nell’ombra in nome di un’informazione libera, non filtrata, “indipendente”. Una missione che, nella Russia di Putin e Medvedev, è costata la vita a decine di giornalisti coraggiosi che, come Anna Politkovskaja, coltivavano un grande sogno: raccontare la verità.
Presentazione di E, il nuovo mensile di Emergency. Diretto da Gianni Mura e Maso Notarianni, parla del mondo dell’Italia che vogliamo. “Una rivista bella, utile e intelligente, che racconta storie vere e approfondisce l’attualità ispirandosi ai valori di Emergency: uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale, libertà. I fatti che giorno dopo giorno l’associazione fa, e in cui crede
Il Cable gate (la pubblicazione dei dispacci della diplomazia americana) ha avuto inizio il 28 novembre 2010. Di eccezionale interesse non è tanto il contenuto dei dispacci quanto la reazione che essi hanno scatenato su tutti i fronti. C’è mai stato un dibattito più illuminante su cosa è, e/o dovrebbe essere, la democrazia liberale? Tra i molti livelli di problematiche emerse, chiede a gran voce risposta una ingannevolmente semplice domanda: che cosa è il giornalismo? e chi è un giornalista?
Il mercato delle notizie, incalzato dai socialnetwork, cerca rifugio nel territorio, geo referenziando le news e trasformando le mappe in contesti giornalistici. L’esperienza di siti come Everyblock, o Groupon, con modalità e fini diversissimi fra loro, mostra come l’informazione tenda a diventare sempre più un linguaggio della cittadinanza territoriale, abilitando ogni singolo individuo a diventare impresario del proprio all news. Non a caso, la competizione fra i due newspaper più prestigiosi del pianeta- il New York Times, e il Wall Street Journal – si sta concentrando sulla capacità di raccontare la cronaca di Manhattan, più che le tendenze economiche globali. Vale per questo la battuta di Manuel Castells: “Le elites sono globali, ma la gente è locale”. Lontani dall’attenzione di politica, media e intellettuali, gli operai italiani sono stati oggetto di un’amnesia collettiva nell’effervescente atmosfera di fine anni Novanta. Complice la crisi economica, però, negli ultimi due anni sembra che di colpo gli italiani siano tornati a lavorare in fabbrica, e in fabbrica si soffre.
Di colpo, le luci si riaccendono, e la questione operaia torna centrale. Insieme ai reportage di giornalismo sindacale, che sembravano destinati all’archeologia della professione e invece ritornano prepotentemente a suggerire spunti all’opinione pubblica e alla politica Il movimento per gli Open data, trainato dall’amministrazione Obama e dal governo inglese, sta rendendo disponibili sul web una mole di dati grezzi di proporzioni del tutto inedite.
In Italia le istituzioni vanno a rilento, mentre nascono alcuni progetti per iniziativa dal basso (vedi Open Camera e Open Parlamento). Si tratta di dati in possesso dell’amministrazione pubblica che vanno dai bilanci alle statistiche, dai contratti agli appalti, e che grazie alla loro pubblicazione in formato aperto possono essere rielaborati e ripubblicati. Questa mole di dati richiede qualcuno che sappia interpretargli e dargli senso. Lo scandalo dei rimborsi ai parlamentari inglesi emerso grazie a dati resi pubblici su internet e rielaborati dal Guardian con il contributo dei suoi lettori online è solo uno dei tanti esempi recenti. Ai giornalisti sarà sempre più richiesto di fornire i dati alla base delle loro inchieste, di saperli integrare all’interno della narrazione giornalistica, di saperli visualizzare con infografiche intuitive, e di renderli riutilizzabili da altri. Cosa possono fare i giornalisti per arricchire la mole di dati pubblici? Come possiamo integrare gli strumenti per rielaborare i dati nel lavoro giornalistico? Quali competenze sono necessarie per entrare in questo campo?
I recenti drammatici eventi in Nord Africa e Medio Oriente hanno rivelato un’inedita combinazione tra attivismo di piazza e social media online per promuovere cambiamento, trasparenza, consapevolezza. Considerando l’ampia diffusione della telefonia mobile nel continente africano, riuscirà questa ondata di giornalismo partecipativo e condivisioni collettive a ristabilire un processo più aperto e partecipativo?
Incontro/intervista. L’inviato di Libero Gianluigi Nuzzi autore insieme a Claudio Antonelli del libro Metastasi intervista il magistrato calabrese Nicola Gratteri. Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, sotto scorta dal 1989, è impegnato in prima linea contro la ‘ndrangheta ed è forse colui che conosce meglio le distorsioni del sistema penale/investigativo/penitenziario che permettono alle tre grandi mafie italiane di prosperare.
Dialoghi sdoppiati davanti a un muro giallo, reportage da Lampedusa, da Terzigno, intorno al terremoto aquilano, dentro le manifestazioni, contro la sindrome da Pd moscio. AAA metà tra cineforum, talk show e seduta di autocoscienza politica, una serata in compagnia dei video della serie “Tolleranza Zoro”, diretti e montati da Diego Bianchi, andati in onda in questa stagione tv all’interno programma di Rai3 Parla con me, condotto da Serena Dandini.
Il Festival Internazionale del Giornalismo e l’Associazione Ilaria Alpi come ogni anno bandiscono il concorso giornalistico Una storia ancora da raccontare dedicato ai giornalisti che hanno perso la vita svolgendo la loro professione, per ricordare il loro sacrificio, la loro professionalità, la loro storia. Dopo Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Giancarlo Siani e Maria Grazia Cutuli, quest’anno il premio, sostenuto da UniCredit, è dedicato a Peppino Impastato e indirizzato a universitari, giornalisti e aspiranti giornalisti, blogger e freelence al di sotto dei 35 anni. Il concorso prevede due sezioni: articolo carta stampata e video.
Per ciascuna delle sezioni sarà proclamato un vincitore che riceverà, rispettivamente, un premio di 2.500,00 euro lordi. L’Europa non esisterà veramente finché non esisterà un’opinione pubblica “Europea”. L’Europa investe molto in programmi di educazione alla cittadinanza europea, ma l’informazione giornalistica nel vecchio continente è ancora basata su logiche nazionali (se non addirittura nazionalistiche), che dividono l’opinione pubblica e trattano le notizie dall’Unione Europea come fatti di politica estera. Non esistono spazi unificati di informazione europea sui media tradizionali (radio e tv satellitari e terrestri) ed l’informazione on line, da sola, forse non basta. Abbiamo visto tutti come Al Jazeera abbia contribuito allo sviluppo di un’opinione pubblica unita nel mondo arabo, per di più laica e per questo temuta dagli stessi governi nazionali arabi.
Quali sono ad oggi gli ostacoli allo sviluppo di un’informazione che, senza annullare la ricchezza delle differenze che convivono nel vecchio continente, sia in grado di esprimere un punto di vista europeo sulla realtà? Che ruolo gioca, in questo, l’impostazione culturale e la formazione dei giornalisti in Europa?
Che cosa potrebbe fare l’Unione Europea su questo piano? Forse, ancora una volta, la risposta viene dal web. Accanto a controverse elezioni e conflitti “dimenticati”, i recenti drammatici eventi in Nord Africa e Medio Oriente hanno evidenziato la centralità dei social media e della telefonia mobile per il cambiamento concreto. Come usarli al meglio per ristabilire un processo più aperto e partecipativo? Quali gli strumenti e le tecnologie più efficaci sul campo? Come potenziare progetti e comunità locali, per amplificarne la voce in tutto il mondo? Freelance da sempre, ha cominciato a collaborare con le tre reti Rai nel 1982. Inviata di guerra per Mixer in Ex Jugoslavia, Cambogia, Vietnam, Birmania, Sudafrica, Territori Occupati, Nagorno Kharabah, Mozambico, Somalia, Cecenia, nel ‘91 introduce in Italia il videogiornalismo: abbandona la troupe e inizia a lavorare da sola con la sua videocamera. Teorizza il metodo e lo insegna nelle scuole di giornalismo. Nel 1997 porta in Rai Report: inchiesta vecchio stile che attraverso l’uso di nuovi mezzi abbatte i costi, e permette agli autori di dedicare più tempo all’inchiesta. Oggi Report, è considerato da pubblico e critica il miglior programma di giornalismo investigativo.Milena Gabanelli Report Rai3 con Corrado Formigli Annozero Rai2.
G. De Santis
Cosenza, 16 aprile 2011. Nuove minacce di morte al giornalista della Rai Riccardo Giacoia. Stamattina gli è stata recapitata nella sede della Calabria dell’azienda una busta contenente un proiettile di pistola calibro 9 e un foglio bianco con una croce disegnata a penna. Non è la prima intimidazione che subisce Giacoia, da poco passato al Tg1 dopo 14 anni trascorsi alla redazione calabrese del servizio pubblico. Nel luglio del 2010 aveva ricevuto un’altra lettera con minacce di morte e, in precedenza, una lunga serie di sms sul suo cellulare. Sulla busta, di colore giallo, il nome del destinatario e l’indirizzo scritti in corsivo e un francobollo comune, ma nessun timbro postale. particolare che fa pensare che la lettera di minacce sia stata consegnata a mano da qualcuno direttamente alla portineria della Rai. «Sono fatti che preoccupano – ha detto Giacoia – ed è inutile negare di aver paura, ma è certo che non saranno le minacce a fermare il lavoro di tanti cronisti che tentano di luce sugli affari sporchi della criminalità organizzata e che, puntualmente subiscono intimidazioni perchè evidentemente la verità infastidisce qualcuno. E non solo la ‘ndrangheta». Giacoia ha riferito di essere appena rientrato, tra l’altro, dal Festival internazionale del giornalismo di Perugia, dove ha partecipato proprio ad un dibattito sui giornalisti minacciati dalle cosche in Calabria. Sulla vicenda indaga la Squadra mobile di Cosenza, a cui il giornalista si è rivolto per sporgere denuncia. (ANSA).
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